scusi, dov’è il bar?

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Non voglio certo farvi la paternale sui Pink Floyd, ne sapete certo più di me, non ne avete bisogno, ci sono fior fior di critici e di musicologi che hanno già detto tutto su uno dei più influenti ensemble di compositori di tutti i tempi. A me piacciono soprattutto le curiosità, come la voce del portiere dello studio di Abbey Road che quasi impercettibile in The Great Gig in the Sky dice chiaramente di non aver paura della morte, o appunto la frase in italiano che dà il titolo a questo post e che è più facile da cogliere in Not Now John urlata credo da Waters. E che dire di One of these days che per i più introduceva a un celeberrimo programma sportivo della RAI, nel senso che magari gli appassionati di calcio non sanno che la sigla era dei Pink Floyd e, viceversa, pensate un po’ a cosa ci si poteva permettere un tempo su una tv di stato e nemmeno per un rotocalco musicale. Come per tutti i gruppi che sono stati più o meno in attività per lungo tempo, anche per i Pink Floyd è bene suddividere la loro carriera in fasi, e su questo siamo tutti d’accordo. Chiaro quindi che quel blocco centrale con il prisma triangolare rifrangente e l’omino che prende fuoco probabilmente è quello che passato di più alla storia, quello che ne è stato prima è invece più leggenda grazie al diamante pazzo, ma attenzione a non sottovalutare il periodo The wall e The final cut, e mi direte ma chi lo sottovaluta che tra due dischi chissà quanti miliardi di copie hanno venduto. Ma considerate che stiamo parlando del periodo 79-83, centrale per la formazione di gente come me che ha vissuto tra i dodici e i sedici anni proprio lì in mezzo, quindi è facile indovinare quali siano le nostre preferenze. The wall, soprattutto, è una cosa che davvero non si può misurare, una di quelle opere che tutti dovremmo ringraziare che in qualche modo sono saltate fuori dal genio umano, probabilmente come le invenzioni di cui a distanza di secoli beneficiamo delle conseguenze che ci hanno portato. Come il sistema metrico decimale, il motore a scoppio e la tecnologia no frost. Nel mio piccolo, ancora oggi, quando sento il rumore delle pale di un elicottero, mi volto a cercare le casse e aspetto che inizi Another brick in the wall.

the great raviolo in the sky

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Usare i Pink Floyd a fini descrittivi è una pratica tanto elementare quanto una delle applicazioni dei calcoli che si imparano nella scuola primaria, di quelli da cui poi è difficile ritornare analfabeti da grandi. Ma a me non mi interessa, e “The great gig in the sky” me la tengo sempre a portata di mano, tanto sta bene su tutto. Addirittura proprio ieri mi sono messo al pianoforte per impararne l’intro, avete presente il giro di accordi, e vi assicuro che non è poi così elementare riprodurla soprattutto se siete adulti e non vi esercitate più tanto, come me. Anche se, rispetto a quando suonavo io, ci sono modi e strumenti per imparare le cose più facilmente. Infatti mi sono messo con lo smartphone in cuffia e così ho potuto procedere agevolmente battuta per battuta anche se ero sul mio vecchio pianoforte che si trova ancora a casa dei miei genitori in Liguria e che, con il tempo, ha perso un bel po’ di accordatura. Mi resta per ora il dubbio se il pezzo sia in sol minore, come penso anche considerando un altro loro successo e mio cavallo di battaglia dell’esecuzione casalinga che è “Shine on you crazy diamonds”, o mezzo tono sopra. Il guaio è che l’originale che ho tra le canzoni che porto sempre con me per ogni evenienza emotiva si trova proprio a metà tra le due tonalità, rispetto all’accordatura del mio piano, in un comma difficile da riprodurre con strumenti acustici e impossibile da calcolare nemmeno se si è freschi di operazioni elementari, come mia figlia. Anzi, loro certe operazioni non le hanno nemmeno fatte malgrado stiano concludendo la quinta. Ma in matematica sono rimasti molto indietro. Niente potenze, niente circonferenza, né aree e tanto meno il volume. Poco prima di mettermi al piano per imparare i Pink Floyd in cuffia le ho chiesto di calcolare lo sconto che non ci aveva fatto poco prima la rivendita di pasta fresca in cui avevamo acquistato una scorta da ventisette euro e tre centesimi di ravioli con la borragine, che poi noi mettiamo nel congelatore e che ci consente di gustare poco per volta a Milano un po’ dei sapori che ci siamo lasciati distanti, come il pianoforte scordato a casa di mia madre e mio padre. Che poi uno si aspetta che, su una spesa di ventisette euro e tre centesimi, al momento di battere il prezzo sulla tastiera del POS il commerciante quei tre centesimi te li tolga, anche se in teoria non sarebbe tenuto. E infatti in Liguria state sereni che nessuno vi fa degli sconti, nemmeno di tre centesimi che su ventisette euro è una percentuale da partito di estrema destra alle elezioni. Quindi si parla di ben altre occasioni perse, il pianoforte poi lo si accorda, la mentalità di un popolo invece no, tanto continuerà a vendere ravioli fatti a mano con la borragine anche se cambio abitudini e non metterò più prodotti tipici della mia terra nel congelatore. Già stavo per convincermi a non ascoltare più “The dark side of the moon” a partire dal crescendo di urla che precede “Breathe” perché mi mette a disagio, proprio ora che ho qualche paura in più a causa della malattia di mio papà. Non bisognerebbe infatti avere paura di “The dark side of the moon”, un disco in cui da sempre identifico la metafora della vita e della morte nella parte chiara e nella parte scura, sarà anche per via della voce maschile che si percepisce proprio sotto gli accordi di piano iniziali di “The great gig” in cui si sente qualcuno che dice non avere paura di morire, in fondo perché si dovrebbe. Così decido di impararla proprio mentre ritorno dalla clinica in cui mio papà giace ormai completamente assente per l’Alzheimer, privo di ogni contatto con la realtà, con me, con mia madre, con quella percentuale che lo separa dal concludere un qualsiasi contributo alla conversazione di più di tre parole di senso compiuto che è pari allo sconto dei ravioli e al comma di accordatura del pianoforte che aveva comprato a suo figlio, cioè io, affinché magari un giorno imparasse un brano dei Pink Floyd a fini descrittivi di qualcosa che davvero, non saprei proprio da dove iniziare a descrivere.

oscuro sarcasmo anche fuori dalla classe

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Camminare con la musica in cuffia è un’azione che un tempo si faceva esclusivamente con un dispositivo chiamato appunto walkman, oggi bla bla bla e non è il caso che stia qui a elencare i riproduttori audio in commercio né a perdermi in un elogio di questo o quest’altro e la poesia delle cassette che ho già trattato altrove e così via. Comunque converrete con me che, anche se si è grandicelli, considerarsi all’interno di un videoclip, con la colonna sonora in linea con quanto si vede intorno, è un gioco piuttosto divertente. Al contrario, non vi è mai successo di assistere a momenti molto simili a scene di video musicali famosi, ma non avete con voi il pezzo in questione o siete sprovvisti del tutto di un lettore mp3 portatile? Non che questo sia un grave problema, voglio dire, c’è ben altro di cui rammaricarsi di questi tempi. Ma, per farla breve, c’è un liceo proprio qui di fronte, quando esco per il pranzo suona la campanella e centinaia di ragazzi si riversano fuori al termine delle lezioni. Mi ritrovo a passare in mezzo a una fiumana di entusiasmo giovanile in fuga verso le rispettive abitazioni, io sono in senso contrario quindi mi capita di fronteggiare gruppetti che non ne vogliono sapere di essere separati da un impiegato di mezza età, così mi faccio da parte senza problemi. Ma non è questo il punto. Ogni volta in cui mi accorgo di essere lì in mezzo, mi viene in mente un video celeberrimo verso il termine del quale, proprio sotto un indimenticabile solo di chitarra di David Gilmour, il cameraman riprende un gruppo di studenti scorrere verso si sé. Due ragazze camminano con passo spedito e chiacchierano, una di esse si accorge della telecamera e avvisa la sua amica afferrandole il braccio e facendo un’espressione di sorpresa e un sorriso. Giovani di un’altra nazione e di altri tempi. Chissà che ne è stato di quelle due amiche. Ecco, io mi aspetto una reazione simile, io che mi avvio verso il bar nella folla, due ragazze che camminano in senso opposto colgono la citazione a cui sto pensando e ripetono gli stessi gesti di quei pochi secondi di Another brick in the wall. Rendendomi felice.