le conversazioni

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Da un po’ ci parliamo facendoci ascoltare reciprocamente le nostre conversazioni telefoniche, una forma di dialogo che ha in sé del teatrale e che probabilmente deriva dal fatto che tu hai calcato il palcoscenico già qualche volta, o almeno sostieni di avere fatto un corso amatoriale con questo intento, e io mi cimento nella stesura di sceneggiature ma lungi da me l’idea di dire che, di questa storia, io sono il regista o tu sei la protagonista. E, giusto per rimanere in tema, ogni riferimento a persone e cose eccetera eccetera. E un giorno mi chiederai perché non ho utilizzato nemmeno un nome di fantasia. La risposta sarà che, mettendo per iscritto queste cose, ho pensato di prendermi cura, a partire da questo momento, del tuo anonimato visto almeno che, da parte tua, da quando vai raccontando i cazzi tuoi a voce alta non sembri interessartene più di tanto.

Nell’ordine, ho capito innanzitutto che sei fuori di te per via dello stalking di cui sei vittima e che alla tua amica che vive dall’altra parte della conversazione e agli antipodi del tuo tenore di indipendenza, con i suoi due figli e la sua vita standard, questa cosa deve sembrare una cosa da pazzi. E, giusto per mettere le cose in chiaro, lo stalker non sono io che riporto le avversità di cui involontariamente mi stai mettendo al corrente ma dimmi, cosa dovrei fare? Indossare gli auricolari e annullarmi nell’heavy metal che, per inciso, mi fa cagare? Lo stalker è quello che ti tempesta di whatsapp e di mail perché non si dà per vinto di essere stato esonerato dal ruolo di compagno di vita. Lo sa che vuoi l’indipendenza, non credi nel matrimonio e, soprattutto, fai bene a voler fare carriera con la grinta che ti contraddistingue e che ti invidio moltissimo.

Sappi però che è il tuo modello di relazioni a darmi speranze. Io sono stufo di parlare scrivendo, di dovermi impegnare a usare un italiano corretto perché si sa che scripta manent e non voglio passare per un ignorante, degli errori di battitura come i punti al posto degli spazi sulla micro-tastiera touch del telefono. Non ne posso più di vedermi circondato di gente che comunica senza dire nemmeno una parola, questo nella vita reale e virtuale. Salvo solo Chiara e Silvia che sono due che non ho mai visto in faccia ma che passano le giornate a inviarsi pubblicamente immagini molto suggestive via Facebook. Una posta una foto aggiungendo il nome dell’amica preceduto dal carattere “@”, sapete come funziona la citazione degli amici nei commenti, e l’altra risponde allo stesso modo in una specie di botta e risposta telematica. Chiara e Silvia hanno trovato un modo innovativo per parlarsi, ma io al momento mi accontenterei di essere uno dei tuoi interlocutori telefonici. Anzi, lasciami il tuo numero qui.

zona carico/scarico emotivo

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Che poi metterla sul personale secondo me dà le sue soddisfazioni. Se i denominatori comuni sono la nostra carne e quell’imbalpabile serie di reazioni chimiche che i più definiscono anima, alla fine dietro ogni vicenda epocale c’è sempre uno di noi, che come nei titoli di coda non è solo il regista o il direttore della fotografia ma cose apparentemente insignificanti come l’addetto al catering. Se non mi suona la sveglia e arrivo in ritardo all’appuntamento con la rivoluzione posso cambiare il corso della storia, giusto? O solo se apro in ritardo la mia rivendita di tabacchi e biglietti della lotteria posso impedire a qualcuno di diventare miliardario a vantaggio di qualcun altro che acquisterà il numero vincente. Il segreto secondo me è proprio qui. Rivolgersi con il plurale maiestatis o esprimersi come portavoce di una categoria numerosa, ruolo al quale siamo stati designati più o meno in modo democratico, paradossalmente può essere riduttivo oggi in cui i casi individuali sono sempre di più alla moda. Un tempo le figure commerciali, per esempio, riuscivano tanto più convincenti quanto erano in grado di sostenere conversazioni approfondite su argomenti generici. Di solito temi meno esclusivi possibili ma ben radicati nell’onda delle tendenze del momento, come vini e loro abbinamento con i piatti, piatti e loro abbinamento con i vini, enogastronomia, specialità tipiche del posto, ristoranti e agriturismo, ricette, preparazione di piatti raffinati e così via. Rigorosamente da evitare i temi politici e religiosi. Magari una spruzzata di cronaca nera che non guasta mai.

Ma la sovraesposizione mediatica alle macro-categorie cui siamo soggetti ci ha fatto progressivamente ritrarre nel nostro guscio tanto che le singole fortune e miserie risultano essere molto più alla nostra portata. Non solo. Svelare debolezze ed eroismi nel quotidiano rende disponibile ai nostri interlocutori una visione più veritiera delle organizzazioni che in quel momento stiamo rappresentando. Ci dev’essere lo zampino dei social network anche in questo. E, prima, dei format tipo gli Amici di Maria, la telecamera puntata dentro gli occhi delle persone. Ma non è il caso di demordere. Potete metterla sul personale anche senza il doppio fine di aumentare lo share o quotarvi in borsa, è sufficiente lasciarsi un po’ andare.

scoop

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Comunque io mi chiamo Roberto, molto piacere. Mi chiamo Roberto come il novanta per cento del genere umano di nazionalità italiana di sesso maschile della mia generazione. Intorno alla metà degli anni 60 Roberto doveva essere uno dei quei nomi di moda o magari c’era qualche personaggio in vista che si chiamava così e tutti i genitori pensavano che dargli lo stesso nome potesse essere di buon auspicio. Vi risulta? C’è qualche studio nell’Internet sulla antroponomastica di massa? Sta di fatto che dalle mie parti c’è stato un periodo quando ero ragazzo e frequentavo i miei coetanei in cui chiamavi Roby e si giravano in venti in un colpo solo. Un amico mio omonimo e il sottoscritto c’eravamo addirittura inventati un programma radiofonico in cui tutti si chiamavano Roberto. I due presentatori, lui e io, gli inviati a raccogliere finti servizi sul territorio, ancora io e lui. Ci sembrava una buona idea da proporre come format a qualche emittente locale. Ci siamo persino incontrati una volta per mettere a punto la puntata pilota con tanto di mixer e registratore. Ma lui aveva un po’ di erba e alla fine abbiamo desistito perché non la smettevamo più di ridere e ci toccava rifare sempre tutto da capo. Fino ad ammettere che l’idea non era granché, meglio archiviarla tra gli ennemila progetti lasciati a metà, anzi meno della metà.

Poi per fortuna la moda di chiamare Roberto è passata, chissà quanti altri trend di questo tipo sono nati, hanno raggiunto il top e quindi tramontati nella severa quanto giusta indifferenza generale. Ma, come tanti altri, vedete che anche i miei genitori si sono fatti omologare dal mainstream e dal momento che cercavano un nome che iniziasse per erre e che completasse la trilogia con le mie sorelle maggiori battezzate con la stessa iniziale hanno pensato a Roberto. Non immaginate quante volte mi sono reputato salvo per miracolo, pensate se avessero scelto Romualdo o Rodomonte o Rastrello. Scherzo eh, che visto come tira il momento vedo già frotte di commentatori che si chiamano così offesi solo perché il loro nome non rientra nei miei gusti. Sì, lo so che rastrello non è un nome proprio ma mi faceva ridere.

Ecco, il nome che è una cosa che volente o nolente ti porti dietro tutta la vita e oltre, perché come se non bastasse arriva il momento in cui te lo scrivono a indicare che in quell’urna è stato raccolto quel poco che è rimasto di te. Ma il vostro nome, se ci fate caso, alla fine quando lo usate? Ok, nei documenti ufficiali, a volte ma non sempre per compilare i form, nella firma, per farvi riconoscere quando occorre. Per il resto ci firmiamo con l’iniziale puntata, come R., oppure con un diminutivo. Io ho scelto Rob, lo uso in calce alle email e non chiedetemi il motivo che non so spiegarlo. Sul lavoro nessuno mi chiama Roberto perché è un nome lungo, credo, o forse perché non mi somiglia e così tutti usano Bob, o Bobby, o addirittura Zio Bob che non so come sia venuto fuori. A scuola sempre per cognome che però non vi dico, mica voglio mettere a rischio la mia privacy on line che già ho rivelato il mio vero nome. Ma perché ci si chiude dietro a nick, poi. Perché si sceglie l’anonimato? Chi crediamo di incuriosire con il mistero di una sequenza alfanumerica come la mia, o con nomignoli evocativi per farci sentire nelle discendenze di qualcos’altro?

In casa mi chiamano papà, papo, per non parlare di tutti i teneri modi di rivolgersi tra partner che ci si potrebbe scrivere un dizionario. Anzi, quando mia moglie pronuncia per intero il mio nome mi suona strano ma non è come nei film che bisogna stare all’erta perché si è agitata per qualcosa. No, lo fa per gioco, per sentire come suona il mio nome con tutte quelle erre, un nome di sicura provenienza germanica. In quel caso mi sento un estraneo, non so se capita anche a voi se avete nomi formati da più sillabe. Devo fermarmi a pensare se davvero si sta rivolgendo a me, a furia di sigle e nick forse è un nome che non mi appartiene più. O forse è solo che nell’era degli indirizzi IP il nome è superato. Comunque io mi chiamo Roberto, molto piacere.