usato, sicuro

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Che fine hanno fatto le cose che abbiamo venduto o di cui ci siamo liberati, e chissà chi sono stati i proprietari di ciò che ora ci appartiene. Perché spero che vi sarà accaduto di aver acquistato un oggetto qualsiasi di seconda mano, vero? Per me era più un fattore di convenienza che di altro, all’inizio. Avevo scoperto qualche negozietto dove potevo comprare i jeans usati e pagarli meno della metà di quelli nuovi, e parlandone in giro trovavi sempre quelli che ti facevano le smorfie di disgusto perché chissà chi ci aveva messo il cavallo dentro. Non mi sembra un problema, questa era la mia opinione. Una volta lavati non resta più nulla del passato, e poi non è detto che avere me come proprietario fosse meglio. Poi in quelle botteghe che non so come facessero a tirare avanti si trovavano cose interessanti. Le giacche di pelle e tutto l’abbigliamento anni 70 che di lì a poco sarebbe diventato la moda per eccellenza. Io che non ero certo un eccentrico al massimo mi permettevo i cappotti neri e i parka di non so quale esercito. C’era Look, un altro posto che si chiamava Il Re, poi ha aperto Almanacco e un altro di cui mi sfugge il nome. Questo come acquirente, chiaro. Come venditore forse è ancora più interessante, e non perché si tratta di me. Le storie che separano gli esseri umani dalle cose a volte hanno dell’incredibile, molto spesso sono commoventi. Avevo venduto il bootleg del concerto a San Siro di Bob Marley perché non avevo abbastanza soldi per fare un regalo a una di cui ero perso. E mi chiedo ora in che mani sia quel doppio vinile stampato artigianalmente, che avevo decorato con altrettanto stile casalingo colorando il cerchio intorno al buco centrale con i colori rasta scrivendo pure la scaletta dei brani con la mia calligrafia da adolescente fanatico. Per il resto ho venduto quasi esclusivamente strumenti musicali, sintetizzatori per la precisione, compreso un Moog Prodigy, uno Yamaha DX7, e più recentemente il PolySix e il Juno106. Ora ho la cantina piena di Dylan Dog e Nathan Never originali di cui vorrei disfarmi ma non ho mai il tempo per organizzare la vendita su qualche sito specializzato. Ma se siete dei sentimentaloni come il sottoscritto, anche solo il dire addio a un pezzo della vostra vita, e non mi riferisco a esseri viventi o a parti di essi, è uno di quei passaggi che fino all’ultimo siete pronti a dire che non se ne fa nulla. Ma poi dicono che le cose iniziano una seconda o terza vita dopo di noi, ritrovano un entusiasmo da chi le procura perché ne ha bisogno che le mette a lustro, le rigenera come si fa con i computer acquistati in blocco dalle aziende che falliscono. Per i vestiti è ancora più struggente questa cosa. Un po’ della nostra anima resta impigliata nei tessuti dei jeans, questo ve lo riporto sempre per sentito dire, ed è questo forse che fa ancora più impressione. Averli posseduti li intride di noi, anche se nessuno lo sa perché non si vede che lì dentro ci siamo noi che non vogliamo andare più via. Nemmeno in lavatrice.