pacco regalo

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Per il suo compleanno, il cinquantanovesimo, a Gianni gli hanno regalato un vero e proprio sogno nel senso che non so come hanno fatto i suoi amici di Facebook ma gli hanno trasmesso una sorpresa nel suo subconscio o quel che l’è, e la sorpresa che gli è comparsa nella mente, mentre dormiva, consisteva praticamente nei Beastie Boys che gli passavano il microfono e lui doveva andare di frista in inglese sui beat di “So What’cha Want”. Sapete poi come funzionano queste cose oniriche in cui c’è sempre qualcosa che rovina tutto a partire dalla sveglia che interrompe l’idillio o il vostro compagno/a che russa proprio sulle frequenze del sogno e i flutti del mare hanno il rumore di un cinghiale che si esprime con un ritmo che ricorda il respiro e l’esperienza svanisce come le lacrime nella pioggia di Blade Runner. Questo nel migliore dei casi, perché nel peggiore vi trovate nudi nel mezzo di un colloquio di lavoro, scendete con la sola forza delle mani dalla facciata di un palazzo di venti piani, vi passa per le armi un plotone di esecuzione delle SS o capite dell’impossibilita del sesso che state esercitando per alcune incongruenze anatomiche con quello che vi ricordate del vostro partner abituale. Che poi Gianni con le parole non se la cava nemmeno bene dal vivo mentre ci dà dentro, come me, con la scrittura e infatti i Beastie Boys pare che siano rimasti delusi perché Gianni si mangia le parole e balbetta da quando è bambino e con il microfono in mano le parole nemmeno gli vengono. A me è capitato di provare compassione mentre parla e fa fatica ad argomentare i suoi pensieri ed è per questo che ho scritto questo post di cui Gianni si è registrato una bozza col telefono. E scommetto che se vi facessi sentire la registrazione rimarreste profondamente delusi di una delusione che va individuata nello scollamento tra l’online e l’offline che poi, e questo lo aggiungo io, è una costante di questo nuovo mondo tutto basato sull’internet e infatti vale anche per me. Magari voi pensate che io sia un intellettuale o comunque una persona di un certo tipo e poi magari, dopo avermi intervistato, non mi daresti due lire quindi niente, a me e a Gianni forse è meglio che non ci conosciate e di lui non so, ma di me vi consiglio di continuare a leggermi e immaginarmi come un Umberto Eco di noantri.

pagine che scottano

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D’estate fa caldo persino nelle storie che si scrivono. Risulta difficile immaginare dialoghi, trame, scene e situazioni senza l’afa, lo schiaffo in faccia che dà l’uscire dai posti in cui c’è l’aria condizionata al massimo, le chiazze di sudore sulle camicie. Le comparse che i protagonisti notano percorrendo le strade verso i luoghi in cui si svolgerà l’evento principale del romanzo sono tutte persone già vulnerabili che la temperatura rende completamente fuori di testa. C’è uno che sembra vestito da legione straniera ma scalzo che, con un rasoio usa e getta, si depila in una via del centro il ventre sollevando un lembo della camicia color kaki. Un altro, all’angolo della piazza sotto un residence così fitto di camere e relative finestre da sembrare uno di quei palazzoni che i nostalgici della DDR fotografano a spasso per Berlino, a torso nudo e in pantaloncini da ciclista si lancia in una danza da dressage intorno a una siepe e non ha nemmeno un cappello in testa per non aggravare le conseguenze del calore. Una gigantesca donna con le tipiche sembianze dell’est sonnecchia sdraiata su una panchina all’ombra nel parco con una busta di carta sull’addome colma di noccioli di ciliege. Non si riesce a descrivere una famiglia davanti alla tv di sera senza far loro guardare la replica di un programma musicale anni 70 con presentatori morti che annunciano la presenza di cantanti altrettanto morti. I colori pensati per stupire una società cresciuta nell’immaginario in bianco e nero ora si dilatano come tele dipinte ad acquarelli sotto la doccia e di fronte a tanta ingenuità mediatica non c’è nulla di più deprimente. Qualcuno spegne la tv nella storia e, fuori dal libro, si avverte lo stesso silenzio. Fuori si sono risolte persino le liti tra genitori e figli adolescenti e le relative urla a finestra spalancata, le auto sono tutte in coda verso le destinazioni del weekend, e persino nei blog non si respira. Ci vorrebbe qualcosa di fresco: io mi stappo una birra, se avete sete e ne volete una rivolgetevi al vostro autore.

cose che non potrebbero accadere con l’e-reader

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Questo almeno fino a quando non sono maturata, come scrittrice, intendo, e ho iniziato a tirarla per le lunghe con le storie ma soprattutto a non dovermi vergognare il giorno dopo di quello che avevo messo giù la sera prima solo perché avevo cambiato umore o c’era qualcosa che non andava. Ho scoperto alla fine che un romanzo lungo e articolato avrebbe potuto coprire un periodo più diversificato di stati d’animo e adattarsi meglio agli alti e bassi della vita, ma è complicato riuscire a trattare storie e trame narrative con un approccio diverso perché dietro ai romanzi c’è sempre la stessa mano, un’unica autrice come me che un giorno gli arriva il rimborso Irpef e riceve attestati di stima da sconosciuti, il successivo deve consolare la figlia per un misero sette di tema quando poteva meritare almeno un paio di punti in più, considerando il mestiere di sua madre, e solo perché ha iniziato una frase dopo il punto con “almeno”. Almeno è chiaro che dei turbamenti con il segno positivo e negativo poi la personalità ne risente, figuriamoci l’arte e la finzione stessa narrativa. Trattare i profili dei protagonisti delle storie con coerenza è la vera sfida, mettere da parte se stessi e inventarsi figure come terze parti di sé da trattare come Tamagotchi che una volta accesi dalla nostra fantasia compiono la loro esistenza indipendentemente da noi, un gioco di ruolo in cui dobbiamo abdicare persino la carica del master per lasciare i personaggi soli con la loro finzione. Poi però penso a tutto l’amore che si riceve ad essere in carne ed ossa e a che cosa il frutto di invenzioni come la mia, come quel blogger quasi cinquantenne protagonista del mio primo romanzo che scrive tutti i giorni in quel modo strampalato, si perdono a restare in quel mondo a due dimensioni che è la storia raccontata e scritta. Anche i piccoli segreti senza risposta, sapere per esempio che cosa spinge alcune persone a passare dalla veglia al sonno in meno di dieci respiri completi senza nemmeno riuscire a terminare quello che stavano dicendo, o perché gli uomini non sopportano che le loro mogli riescano a portare a termine telefonate da cinquanta minuti. Avere progetti narrativi sulla lunga durata è come tessere una vita parallela, trovare intorno e fuori e dentro tutti gli episodi per comporre quotidianamente una sorta di ambiente virtuale, come quelle cose kitsch che si vedevano su Second Life, senza correre il rischio di impazzire nell’immaginarsi che cosa combinano tutte quelle vite costrette a stare sveglie quando lo vogliamo noi nei momenti in cui non ci siamo. Probabilmente si riposano, magari si innamorano e non ci dicono niente, tornano nelle loro case a vivere con i loro cari, magari scrivono le loro impressioni e scommetto che qualcuno ha pure qualche velleità di fare il romanziere come me.