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Caro blogger, mi permetto di scriverle per metterla al corrente di un avvenimento che le farà piacere, o forse no. Nel dubbio ho deciso di contattarla perché si tratta di un aneddoto a mio giudizio stimolante che potrebbe anche non sfigurare tra i suoi scritti, a me ha fatto sorridere e ho pensato che comunque fosse corretto informarla. Mi chiamo Irene e insegno materie letterarie in una scuola secondaria di primo grado della provincia di Cremona. Premetto che non sono una lettrice assidua di blog, ogni tanto capita che tramite Facebook o semplicemente via e-mail qualche amico o collega mi segnali notizie interessanti, ma in genere non ho molto tempo da dedicare a questo universo e forse quello che mi è successo costituirà uno stimolo per rivolgere maggiore attenzione d’ora in poi a quello che accade in rete, tra i suoi frequentatori e a siti come il suo. Ora vengo al punto. Ho appena terminato l’anno scolastico con una seconda, tutto sommato una buona classe. Tra i ragazzi si trova di tutto. Ci sono quelli già grandi, quelli che sono bambini a tutti gli effetti, quelli che hanno famiglie attente e quelli che sono meno al centro dell’attenzione a casa e la cercano in classe, tra i coetanei e verso i professori. Uno dei miei ragazzi, si chiama Ivano, ha delle forti carenze nella scrittura. Difficilmente ha raggiunto la sufficienza nella stesura di temi, per questo mi è stato facile adombrare sospetti sulla provenienza di alcuni svolgimenti scritti a casa, temi che gli assegnavo come esercizio, sorprendentemente scorrevoli e fin troppo ben costruiti. Ne ho parlato con i genitori che mi hanno assicurato la loro estraneità, non avevano dato alcun aiuto, il passo in avanti era fin troppo ampio per essere vero. Era palese che quegli elaborati non fossero farina del suo sacco. Era impossibile che avesse copiato di sana pianta da libri, molto più facile che avesse cercato “ispirazione” su Internet. Così ho provato a inserire intere frasi dei componimenti di Ivano sui motori di ricerca, e ogni volta come primo risultato ho ottenuto parti di post del suo sito su argomenti vari, dalle feste natalizie o temi più complessi legati alla famiglia e all’amicizia. Il che significa che gli argomenti di cui tratta nel suo sito sono eterogenei e trasversali – la immagino come una persona adulta, ho letto alcuni estratti in cui parla di sua figlia – che sono facilmente rintracciabili da Google e che denotano una freschezza tale da dare fiducia a ragazzi come Ivano (…)

La mail continua con alcune considerazioni che preferisco non riportare, mi limito a considerare l’età mentale e narrativa di quanto scrivo qui e l’affinità che ne può scaturire con un tredicenne. Cara professoressa Irene, tutto questo non può che mettermi di buon umore. E, caro Ivano, mi piacerebbe conoscere la tua versione dei fatti, quali brani hai fatto tuoi, quali impressioni ne hai tratto, se hai fatto solo un uso strumentale del blog, se hai copiato a caso o se continui a seguirmi.

il giorno, più lungo

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Eppure non è molto che ho scritto questa cosa qui ma si sa, a fare i giochi del mi sembra ieri si finisce a ritroso alle generazioni che ci hanno preceduto, gli avi al tempo del Risorgimento, il medioevo e l’australopiteco. Il solito esagerato. Ma diamine la data è quella e un altro anno scolastico si è chiuso, un po’ a fatica per via delle maestre che hanno preso il posto delle precedenti e poi le supplenti tanto che la rappresentazione grafica della continuità didattica ricalca l’esempio di linea spezzata che hai disegnato sul quaderno di geometria, il profilo di una catena montuosa a fianco di rette e curve. Ti prometto che questa volta farò di tutto per fermare questa invida aetas che anche mentre scrivo sarà già fuggita e chissà perché c’è sempre tutta questa fretta che non puoi stare fermo nemmeno un secondo sul secondo che stai vivendo che già c’è quello dopo e carpe diem suona più come una bestemmia storpiata perché non si può sempre continuare così. Quest’estate sarà diversa. Da stasera, che è la prima sera di vacanza, tutto durerà il doppio. Puoi scommetterci.

lasciate che i bambini vengano a me e non glielo impedite

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In Italia lasciare i bambini fuori dalla Chiesa, dai sacramenti e dal catechismo non è cosa semplice. Nella classe di mia figlia sono in cinque, lei compresa, a non essere battezzati per esempio, ma tre sono musulmani. Quattro di loro fanno un’ora alternativa all’ora di religione, noi abbiamo pensato invece che comunque avrebbe potuto essere interessante per nostra figlia sapere di che si tratta, darle strumenti affinché possa decidere da grande, se vorrà, come comportarsi con la religione. Non si è rivelata una scelta oculata, perché non abbiamo tenuto conto del fatto che preparare la comunione, seguire i riti, i canti comandati, studiare la mitologia che sta intorno al cattolicesimo è oltremodo attraente per i bambini curiosi, categoria a cui mia figlia sembra appartenere. Tanto che più di una volta, e poche ore fa si è consumata l’ultima, ci ha chiesto perché non è stata battezzata e ci ha confessato che le piacerebbe seguire catechismo e preparare la comunione.

La motivazione ufficiale è che si trova in minoranza nel gruppo dei pari. Sono convinto non sia giusto forzare i piccoli a sentire la diversità come un valore, perché per loro è difficile sviluppare una maturità emotiva adeguata. O magari la sviluppano, ma i compagni di classe non sempre la capiscono. A noi sembrava peggio estrometterla dall’ora di religione, era come rimarcare in modo più accentuato una differenza culturale, tuttavia il problema si presenta con una certa ricorrenza.

Ma devo ammettere che parlare molto chiaramente, non mentire sulle proprie posizioni anche quando si pensa siano difficili da afferrare per i figli alla fine paghi. E non è stato nemmeno così complesso spiegarle perché non siamo credenti e praticanti, e soprattutto perché ci sentiamo così lontani da una comunità politica e spirituale che nega i diritti fondamentali alle persone omosessuali, portandole l’esempio di una coppia di amiche di famiglia, compagne di vita, che lei stima enormemente e che per lei sono più che zie. Perché vuoi far parte di una comunità che impedisce a loro di sposarsi, di adottare figli, di costruirsi una famiglia come la nostra, influenzando addirittura la legislazione e i poteri politici che potrebbero permettere tutto ciò? A sostegno della tesi le abbiamo mostrato gli esempi degli stati stranieri che, privi di un sistema di opinion leading interno come il Vaticano in Italia, possono difendere le coppie dello stesso sesso dai pregiudizi socio-culturali con l’informazione, con la cultura e, soprattutto, con la legge (ovviamente con terminologia adeguata all’età).

Non so, non nego che la cosa ci crei confusione, ma penso che sia un metodo vincente, alla lunga. Lei potrà comunque non privarsi dell’aspetto favolistico della religione, il Natale e tutto il resto, le feste che hanno un fascino indubbio e difficile da sostituire con un’alternativa altrettanto appagante. Ma se si ripresenterà il problema, sono certo che useremo gli stessi argomenti a difesa della nostra scelta. Per continuare la sana cultura cattocomunista di famiglia.

un velato accento

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Mi ha scritto una amica insegnante di Matematica, una vecchia conoscente che ha voluto mettermi al corrente di una situazione esilarante. Dal 2006, se non erro, è di ruolo in un liceo scientifico e, quest’anno, ha avuto un incarico presso una prima. L’impatto, però, non è stato dei più incoraggianti, non tanto per il materiale umano che le è stato affidato da iniziare alla scuola superiore, quanto da un aspetto marginale, diciamo di folklore, che lei definisce un “segno dei tempi”.

È la prima ora di Matematica del primo giorno di scuola di una prima, il battesimo dei ragazzi nella nuova tappa del loro percorso scolastico, forse la più difficile considerando la maturità emotiva e l’entità del lavoro che i ragazzini si approcciano a svolgere. La prof, che chiamerò Paola, si siede alla cattedra, si presenta, quindi con l’intento di rompere il ghiaccio legge l’elenco dei suoi alunni, fa l’appello, per così dire, tante individualità una via l’altra, scritte in ordine alfabetico sul registro. Un nome, una faccia da memorizzare, una coordinata per localizzarla tra i banchi. Paola mi confessa che ogni volta riuscire a ricordarsi di tutti è un calvario, ques’anno poi la classe in questione raggiunge le trenta unità, la sfida sarà ancora più complessa. La lista scorre fino Colombo (cognome fittizio) Elena (nome vero), che dalla seconda fila alza la mano, sussurra un “presente!” e mentre Paola le sorride, la ragazza molto educatamente le fa notare che “non so come sia scritto sul registro, ma il mio nome in realtà si pronuncia Elèna, e non Èlena“. “Ah Elèna“, risponde sorpresa Paola “che vezzo di originalità”, anche se so che avrà dovuto trattenere un ghigno ironico. Di certo Elèna le è rimasto impresso, non se la dimenticherà facilmente.

L’appello prosegue senza pause sino a Rossi (cognome fittizio) Maria (nome vero), una stanga in ultimo banco, probabilmente una pallavolista, una sportivona, che con una voce decisa interrompe la prof avvisando che “le sembrerà uno scherzo, ma anche il mio nome si pronuncia diversamente, e cioè Mària e non Marìa“. A quel punto la scolaresca scoppia in una risata, Elèna e Mària nella stessa aula sembra davvero una burla di chi ha curato la composizione le classi. “Ammetto di essere arrossita“, scrive Paola, “perché in un certo senso quella risata era rivolta a me, all’istituzione che rappresento, ai processi automatizzati che non tengono conto dell’eccezione umana, quella che fa coesistere nello stesso insieme le uniche due stringhe di testo con l’accento diverso rispetto all’uso comune“. Uso comune, penso io, chi può dirlo: si fa presto ad aggirare la convenzione. Sta di fatto che a questo punto Paola dice di essere terrorizzata da nuove possibili gaffe, continua l’elenco con molta cautela, anche se più di due anomalie sui nomi di trenta alunni sono già tante, troppe. La statistica, lei stessa la insegna, non è così aleatoria.

Invece no, ecco l’ultimo livello, quello che può essere fatale. Paola sa già che il cognome che sta per leggere scatenerà l’esplosione dell’uditorio, ma è consapevole del fatto che non può sottrarvisi. Chissà, quello che le è capitato oggi pregiudicherà tutto l’anno scolastico? “È meglio mettere in pre-allarme i miei colleghi in modo da risparmiare loro la brutta figura, o esporli in eguale modo al ludibrio scolastico, in modo da non diventare lo zimbello del corpo docente”? Ci sono pochi secondi, una pausa prolungata può far diventare quello che sta per succedere ancora più deflagrante, meglio accelerare per sdrammatizzare ciò che i suoi nuovi alunni stanno già subdolando. E l’interessata, in primissima fila nel banco lì davanti, si gode già il suo momento di rivalsa per la prima volta, visto che il suo cognome è stato sempre oggetto di beffe anche pesanti da parte di amici ed ex compagni di classe. “Troia Francesca, ma suppongo si dica Troìa, giusto?“.

meriti una lezione

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Rita la zanzara si batteva per una scuola più yeyè, Lorenzo per una scuola più grunge, Frankie Hi Nrg per una scuola più pop, e meno male che non la vuole più rap, perché haimè i suoi tempi, quelli della buona old school, sono finiti, e ci troveremmo gente come i Club Dogo nei corridoi a imporsi come modello per i nostri ragazzi. Ma a me basterebbe che la scuola fosse solo più scuola, magari con un po’ meno sumeri e fenici e più resistenza e dopoguerra, un po’ meno Machiavelli e Guicciardini e più Pavese e Vittorini. In generale più novecento, che spesso è la cenerentola dei programmi perché la maturità incombe e bisogna fare presto. Per Lady Gaga c’è tempo, se ne può parlare nell’intervallo o dopo la campanella. E, nel dubbio, sto come sempre con i Ramones.

fuga dalla scuola sotto la media

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Se avrete voglia di leggerlo, quando uscirà, ci troverete i post di tanti, illustri autori di blog che insegnano in una qualsiasi scuola (più un imprevedibile “Pierino” che fa l’alunno e la cui identità resta segreta, per ora). Il libro elettronico si intitola «Voci di corridoio»: non vi dico chi partecipa perché sarebbe un lungo elenco e forse mi dimenticherei anche qualcuno e quindi sarebbe pure inelegante. Vi dico solo che merita quel po’ di attenzione, secondo me; e che sarà pronto, così dice Peppe, per la fine del mese, o al più tardi per la metà di giugno, quando la scuola sarà finita e potremo quindi portarcelo serenamente in vacanza.

La scuola pubblica, come non l’avete mai letta. La scuola come materia prima. Prossimamente sui vostri reader.

proposte indocenti

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Uscire dal precariato, grazie a Mediaset, si può: dieci anni di stipendio per partecipare a un reality. La chiamata è per gli insegnanti precari della scuola, che finalmente hanno un’opportunità tutta per loro, con cui calpestare la propria dignità preparando una scolaresca di grandifratelli (pare i più asini, ci sarà l’imbarazzo in fase di selezione) a un quiz finale. Alla fine, il format è sempre quello: chi ha i soldi mette mano al portafogli, tanto non c’è più nulla che non sia sul mercato.