la storia

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Un uomo e una donna superano una selezione per essere ingaggiati come protagonisti di un romanzo in cui dovranno incontrarsi, conoscersi e coltivare una storia d’amore. Lei osserva le persone, è fanatica di musica e nella vita ha la missione di far desistere chi vuole intraprendere la carriera di musicista, va a incontrare i gruppi e cerca di convincerli a smettere. Prima di essere la protagonista del romanzo suonava ma da quando ha smesso ha trovato un equilibrio, ma lo dice lei di averlo trovato perché nella realtà è abbastanza instabile. Anche a lui la musica piace molto, ma tende alla depressione e si vede sempre più uguale a suo padre nel quale riconduce molti problemi suoi e dei suoi famigliari. Si interessa di tecnologia, è piuttosto imbranato.

Nella fase di conoscenza reciproca si scambiano i loro punti di vista, raccontano aneddoti, interpretano la realtà. Entrambi manifestano una passione per una nota band italiana. Tutti requisiti che favoriscono l’innamoramento vero, tra i due, anche fuori dai tempi narrativi della trama. Il guaio è che temono entrambi di soffrire perché sanno che l’autore può comunque decidere di terminare la storia quando lo ritiene più opportuno, prevedendo persino la fine della loro relazione. Così organizzano una fuga e riescono a evadere dal libro. L’autore rimane da solo perché non ha più elementi per un epilogo come avrebbe dovuto essere e non sa più come proseguire.

I due, fuori dal libro, provano a vivere insieme ma le loro stesse nevrosi li allontanano, ne deriva una fase di disorientamento, senza la trama diventano protagonisti di aneddoti completamente fuori contesto. Fortunatamente per i due l’autore muore e le loro esistenze sembrano riprendere un corso più in linea con la trama per la quale si erano impegnati così tanto nella loro missione. Tutto sembra farli riavvicinare. Fino a quando si incontrano di nuovo per caso in una libreria, entrambi stanno per acquistare lo stesso libro in cui sono protagonisti e capiscono di essere fatti l’uno per l’altra. L’autore aveva previsto nel libro un intimo live unplugged del loro gruppo preferito in quella libreria come epilogo, solo per loro due. I clienti e i commessi infatti escono lasciandoli soli, mentre la band suona la loro canzone. Fine.

facoltà di lettere, scritte e mai ricevute

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Nell’immaginario delle storie d’amore non c’è nulla di più virile del beau geste di una valigia pesante sollevata da terra con i muscoli delle braccia maschili in tensione e posizionata in alto, sul ripiano portabagagli di uno scompartimento ferroviario, come supporto al gentil sesso. Offrirsi di portare un borsone contenente un’intera stagione di abbigliamento universitario per il cambio natalizio con i vestiti più pesanti e adatti alla sopportazione della trimurti dei mesi del gelo assoluto seguente, dal binario di attesa al posto prenotato sull’Intercity, scatena immediatamente tutti gli ormoni della prosecuzione della specie. Io e Federica ci siamo conosciuti così.

Sin dagli albori dell’anno accademico 90-91 avevo usato lanciarle caparbi segnali di invito all’accoppiamento confortato da un numero di conferme di rimando che lasciavano presumere un esito dignitoso alle molteplici dimostrazioni di rinuncia alla mia dignità, il preambolo quasi obbligatorio di ogni sacrificio amoroso. Ero attirato dal suo caschetto asimmetrico, dall’abbigliamento all-black e da certi ascolti eterodossi e presunti che uniti a bigiotteria macabra, trucco e calzature anti-infortunistiche ne consolidavano l’orientamento superbamente arrendevole, almeno nella mia fantasia.

Non mi ero così lasciato scappare l’occasione ghiotta di un viaggio di ritorno definitivo sulla tratta comune, il rientro a casa prima della pausa di dicembre. Prima che potesse dire qualcosa, come un mascalzone latino qualunque, le avevo sottratto il borsone di mano invitandola a seguirmi, di sicuro un paio di posti liberi – tutti per noi – sull’ultimo treno dopo la chiusura delle attività accademiche lo avremmo trovato.

Io e Federica avevamo trascorso così quell’ora e rotti di viaggio insieme. I libri, i dischi, il passato e quello che ci aspettava, il suo ragazzo Giovanni dal nome troppo ordinario per una complessità british-orientend, io sommerso dal dramma esistenziale di un servizio militare capitato nel mezzo degli studi. Troppo vicini sui sedili di fortuna, quelli che nei corridoi dei vagoni assicuravano un po’ di riservatezza a chi non voleva condividere la propria vita con passeggeri casuali. Sembra un’era geologica rispetto ai tempi odierni delle conversazioni telefoniche private tenute senza pudore al cospetto di chiunque, sui mezzi pubblici.

Ci siamo lasciati così, come quei film in cui se lo sceneggiatore ha deciso che due si devono incontrare ancora, per ragioni di botteghino tutto può succedere. Se avessi azzardato un approccio in quel frangente, Federica avrebbe avuto qualche complicazione sentimentale, senza contare che il nome Giovanni e la sua appartenenza a una famiglia dalla forte connotazione meridionale tradiva comunque frequentazioni poco rassicuranti e una catena di rivendicazioni svantaggiose. Ma non avevo dubbi che il destino avrebbe compiuto ugualmente il suo corso.

Ci siamo incontrati infatti di nuovo qualche mese più tardi, in coda alla segreteria di facoltà per il pagamento dell’ultima rata d’iscrizione. Il fatto che avessi pensato fortemente a lei, varcando il portone della sede, aveva elevato a valore esponenziale la casualità del rivedersi e il riprendere la conversazione da dove un saluto frettoloso ci aveva lasciati. Per non perdere tempo, e per non lasciarmi sfuggire una seconda volta l’occasione, mi era sembrata una buona idea – malgrado la ressa di studenti isterici che ci stavano ascoltando – la proposta di instaurare un rapporto epistolare mentre ero ancora in caserma, proprio come un soldato al fronte. Un’ipoteca su una vita insieme futura malcelata nella stesura di un aggiornamento anacronistico di un’esperienza, la naja, il cui valore esistenziale ed intrinseco già era pari a zero se non controproducente. Tutti già sceglievano il servizio civile, soprattutto negli ambienti più intellettuali, solo a me avevano respinto la domanda e costretto alla leva obbligatoria.

Federica in quel frangente si era premurata di lasciarmi i suoi dati, ma avevo colto immediatamente un presagio nefasto, l’esitazione nello scrivere su un foglietto di fortuna il suo cognome che, a rileggerlo dopo averlo riportato fedelmente sul dorso della busta, mi suonava così esotico ed evocativo di civiltà ormai scomparse. In quella lettera che le avevo scritto pochi giorni dopo il nostro incontro mi ero messo a nudo e avevo concentrato tutte le mie energie sentimentali, è facile immaginare la delusione dal non aver ricevuto mai risposta alcuna.

E, a così tanti anni di distanza, mi è stato possibile avere la conferma che la mia lettera non è mai arrivata a destinazione. Ho approfittato dei motori di ricerca e dei social network per rintracciare proprio Federica, perché da quell’ultimo episodio in segreteria di facoltà non l’avevo mai più incontrata. Ho scoperto così che il cognome e l’indirizzo che Federica mi aveva fornito erano totalmente inventati. Un modo elegante di sbarazzarsi di uno che ci voleva provare e che, a posteriori, mi sembra persino geniale.