se è oggi o domani che importa

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Che differenza fa scrivere le date e collocare temporalmente le cose? Io l’ho sempre vista così fino a quando ci ho riflettuto come lettore. All’interno di una storia è encomiabile che l’autore scriva i dettagli su un particolare avvenimento. Il tizio tal dei tali è morto il 17 giugno 2015 all’età di 86 anni. Che coincidenza, anche mio papà. Non so, ma a me non viene mai in mente. Intanto perché non sono uno scrittore e scrivere qui che ho pensato a quale differenza faccia scrivere le date e collocare temporalmente le cose il 27 marzo dello stesso anno non cambia di una virgola il senso della storia. Anche perché di virgole io ne uso ben poche e, diciamocelo, abbastanza a cazzo. Ma poi anche perché viviamo nel mito della narrazione che è la sublimazione del vissuto, un concentrato di esperienze messe giù da battaglia da qualche esperto di marketing e, se vendi sogni, legarli alla realtà con dei riferimenti cronologici è un attimo a svegliarsi e mettere i piedi giù per terra. Quindi quando ci incontreremo al prossimo meeting della nostra associazione dilettantistica – e per quell’occasione però dovremo definire un giorno e un’ora, se non un luogo – ricordatevi di raccontarmi le vostre cose senza riferimento alcuno. Non intendo nello specifico alla data di un decesso, anzi, se posso permettermi, piantiamola lì con tutto sto parlare di morti. Un conto se c’è una tragedia o una strage, e di questi tempi abbiamo l’imbarazzo della scelta. Ma mica possiamo metterci lì a dire qualcosa su ogni episodio individuale. Basta parlare anche delle proprie paure, perché mica è vero che si esorcizzano, come me ieri con l’aereo o una cosa spaventosa che provavo da bambino. Avevo il terrore di essere rapito, sapete che negli anni 70 non è che fosse una possibilità così remota. Temevo che qualcuno di notte si introducesse nel nostro appartamento e che mi portasse via. Mia mamma mi aveva rassicurato nel modo più comune ai tempi tra la povera gente: chi vuoi che ti prenda, figlio mio, non potremmo mai pagare alcun riscatto per te. Iniezioni di autostima come queste fanno crescere consapevoli della propria subalternità. Chi se ne importa se un hair syilist sbaglia in pieno il taglio la prima volta che ti ha sotto le mani come cliente. A me non fa né caldo né freddo se poi sto male, non sono io quello che conta, sono il primo ad avere interesse negli altri più che per me stesso.

clima #staisereno, te ne prego

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Quante volte un temporale vi ha guastato tutto? Gite, scampagnate fuori porta, colazioni all’aperto, processioni e cortei. O quei primi appuntamenti romantici dove per forza di cose non c’è un posto dove ripararsi, sì magari si finisce a cena ma poi in un modo o nell’altro bisogna rientrare a casa di corsa e non c’è tempo per fare le cose con la dovuta calma. Una parola, uno sguardo, vuoi salire da me. Conosco persone a cui un acquazzone si è messo in mezzo proprio quella volta in cui sarebbe stato fatale il loro incontro e poi è finita che niente, magari facciamo un’altra sera che sono senza ombrello e poi quella sera non è più arrivata e bon, occasione perduta. Per non parlare di spettacoli e concerti. Se fate parte del pubblico il maltempo proprio non ci vuole ma tale è stata la spesa per cui fa bene anche farsi una doccia all’aperto tanto è estate. Se siete invece tra quelli che con gli spettacoli e i concerti ci lavorano non è proprio la stessa cosa, perché se siete abbastanza importanti da avere una struttura che vi ripara chissene, come dicono i ragazzini, cioè lo spettacolo o il concerto lo si può fare sempre e comunque e chi non è sul palco sono affari loro. Ma se non siete abbastanza importanti c’è il rischio che qualcuno vi dica che è meglio non suonare, si bagna l’impianto, anzi non venite neppure e addio cachet. I più sgamati scrivono nei contratti che in caso di pioggia devono essere comunque pagati, quelli che invece è già una fortuna che non dobbiamo pagare per esibirci, niente, grazie e ci vediamo alla prossima. C’è chi sostiene addirittura che le precipitazioni siano segnali soprannaturali di scarso gradimento della propria arte. Sta per cominciare l’esibizione di tizio? Giù acqua, che è meglio per tutti se non canta. Ecco io vorrei che ci fosse più rispetto da questo punto di vista per chi fa spettacoli all’aperto, che il cattivo tempo si manifestasse solo in concomitanza di live di artisti notoriamente antipatici, quelli il cui carattere scontroso è riconosciuto da tutti, mentre per tutti gli altri che si potesse definire uno standard meteo per non correre rischi. Molte coppie si potrebbero formare e andare al sodo grazie agli appuntamenti all’asciutto e nessun musicista, allo stesso tempo, crescerebbe frustrato. Diciamo no al tempaccio nelle sere estive. Firma anche tu.

il regalo più prezioso è proprio questo

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Quelli che come me si vantano di essere in grado di considerarli giorni come tutti gli altri mentono sapendo di mentire. E così, come una pietanza particolarmente più gustosa nel normale, ci si ritrova ad osservare il piatto con qualche rimasuglio del condimento con quella nostalgia che ha eguali solo quando una canzone preferita finisce e di improvviso il finto silenzio ci impone di rintracciare le briciole di piacere acustico nelle ultime vibrazioni dei corpi attraversati dalle onde del suono. La metafora del cibo calza a pennello con le sensazioni postume, quel senso anomalo di gonfiore nelle membra e sulle dita compresse – almeno una – dalla fede nuziale, o sotto l’ombelico dove una cintura stringe un po’ di più. La metafora della canzone pure, sono feste piene di ritornelli di gioia che sono quelli che conosciamo di più e che ogni anno canticchiamo come se fosse la prima volta, cercando di non far accorgere nessuno che siamo felici, sempre che lo si possa dire. Fino a quando qualcuno molto più giovane di noi ma molto legato a noi, un figlio o un nipote a seconda di quanti anni abbiamo per esempio, fino a quando qualcuno di una generazione in meno ci pone la domanda che temiamo di più, alla quale non c’è una risposta standard. Che cosa gli possiamo dire? Tutto finisce perché tutto ha un inizio, tutto si consuma perché si esaurisce, non se ne esce e non conosciamo nessuna realtà delle cose diversa da questa.

scaricate la nuova utility per il vostro benessere interiore

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Vi siete mai chiesti che ne sarebbe della vostra vita se poteste sottoporla a un’operazione di deframmentazione, per ottimizzare tutte le esperienze che si sono andate ad accumulare ristrutturandone l’allocazione in zone contigue dal punto di vista del loro valore, cancellando così il tempo perso trascorso vostro malgrado in cose di cui non vi frega un cazzo. E non mi riferisco solo alle attese con il vostro numerino in mano mentre quelli davanti a voi continuano ad assentire alla domanda “desidera altro?”, alle code in tangenziale, a specchiarvi nelle vetrine delle agenzie immobiliari aspettando un ritardatario con cui avevate appuntamento, sui treni fermi a quattro passi dalla stazione mentre qualcuno decide per voi il binario da assegnare al vostro convoglio. Ma anche film e libri che con il senno di poi erano così così, storie d’amore superflue a cui avete dedicato i migliori anni della vostra vita. O anche solo viaggi perdibili, feste pallose, pranzi o cene che era meglio starsene a casa. Come minimo, se ci venisse restituito almeno il sessanta per cento di questa esosa caparra che abbiamo versato senza avere nulla in cambio, saremmo tutti ancora poco più che trentenni, ma sono certo di aver approssimato in eccesso.

Pensate anche se fosse possibile lanciare lo stesso tipo di operazione per rimuovere i sedimenti nel vostro organismo di quello che vi siete sbafati nel corso della vostra vita conviviale per ingordigia e poteva essere invece lasciato marcire nel frigo o riportato indietro dal cameriere, avanzato nel piatto. Chissà quanto colesterolo in meno, quale percentuale di tessuto adiposo svanirebbe, altro che liposuzione. Saremmo tutti pelle e ossa, magari con aspettative di vita superiori. Meno cardiopatici, meno persone frustrate dalla prova costume, meno diabete.

Questo discorso vi sta prendendo, vero? Pensate allora a quanto sareste ricchi se vi restituissero tutti i soldi che, a vostro insindacabile giudizio, avete buttato via per cose inutili, oggetti che si sono rotti subito, vestiti che spinti dalle lusinghe della commessa ammiccante non vi siete lasciati scappare e che poi, con i colori della realtà delle vostre abitazioni più modeste della boutique del centro, vi sbattevano, erano di una taglia in meno, tradivano le imperfezioni del vostro corpo, vi facevano difetto sulle scapole all’infuori o semplicemente tornati a casa vi siete accorti di non aver nulla con cui abbinarli, e così avete dovuto spendere il doppio per dotare il vostro guardaroba di qualcosa che giustificasse la prima spesa.

Lo so, questa forma di ottimizzazione del proprio vissuto non è un’idea poi così originale, almeno quanto l’uso dei pallet, i pancali industriali, usati come base per il letto su cui almeno un vostro amico alternativo si è spaccato la schiena prima di scoprire che il benessere interiore, anche se fa meno figo, inizia proprio con la qualità del sonno. E non ne faccio nemmeno una questione di rimorsi e rimpianti, perché siamo anche il risultato di un autobus perso, di un cocktail di troppo quella sera, di un matrimonio avventato, di un entusiasmo che potevamo risparmiarci o di un aspirapolvere acquistato da un ciarlatano porta a porta a cui non siamo riusciti a dire di no. Peccato però, perché ripulirci di tutta questa fuffa e rimettere a posto quello che resta, le cose importanti, in sequenza nell’archivio della nostra vita potrebbe diminuire drasticamente i tempi di accesso e lettura di quello che abbiamo dentro. Rasenteremmo la perfezione relativa, cioè il modo in cui ci vediamo, la percezione che abbiamo di noi e che facciamo di tutto per mostrare al prossimo. Per questo la deframmentazione – almeno questa versione di fantasia – è un’operazione da svolgere rigorosamente in modo automatico dal file system che ci batte dentro, e non da un’esplicita richiesta di un utente esterno. Che storia, eh? Una volta portata a termine ci lascerebbe spazio a non finire per tutti gli altri errori che da qui in avanti potremmo fare, fino alla deframmentazione successiva.

natura morta e nemmeno io mi sento troppo bene

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Il problema non è tanto non essere in grado di descrivere le stagioni e tutto ciò che comportano. Questo genere di osservazione della natura e di ciò che ci circonda porta dei frutti solo se ciò che si cerca di raccontare è sufficientemente romanzabile. Ma alla lunga vedere sempre gli stessi posti nei quali scavando a fondo si trovano sempre gli stessi particolari rompe i maroni. Se vivete come me nei dintorni di Milano troverete ben pochi dettagli da cogliere e utilizzare come scenario per il vostro storytelling. Il cielo per esempio ha due modalità, acceso e spento, ovvero il sereno che si alterna al classico controsoffitto grigio hinterland, quel lastrone che copre le nostre vite indipendentemente dal mese in corso, senza variare nemmeno la tonalità. In questo contesto binario la gamma e le sfumature si riducono già di un buon ottanta per cento – sto sparando a caso – e nulla del contesto vi verrà incontro. Poi se siete come me e non notate se i fiori dell’aiuola nel mezzo della rotatoria o quella all’incrocio con il semaforo dove sosta il profugo senza una gamba che chiede l’elemosina sono fioriti, le foglie sono ancora appese ai rami o giù insieme alle cartacce che nemmeno gli operatori ecologici hanno il coraggio di districare, farete fatica a collocare anche solo un vostro pensiero in una cornice temporale. La differenza e l’alternanza la scandiscono solo l’abbigliamento, forse, perché senza nebbia e senza mare basta distrarsi un po’ e ci si dimentica persino del nome del centro commerciale in cui si sta facendo passare un sabato pomeriggio. Quando si posano le cavallette sul balcone e i gatti me ne fanno uno sgradito omaggio è il segnale che l’autunno ha preso ritmo, e il ciclo riprende mentre tutto intorno le persone starnutiscono fiaccate dall’allergia all’ambrosia. C’è poi il tempo dei furti in casa, arrivano le giostre in paese e si sa che gli appartamenti iniziano a stiparsi di regali di Natale sempre più costosi per figli sempre più tecno-dipendenti, tutto ciò fa gola agli acrobati come allo stesso modo spariscono borse e borselli dalle auto nei parcheggi dell’Esselunga mentre i clienti lasciano per qualche istante la spesa incustodita per riporre il carrello e negare l’euro al questuante nomade in servizio. A quel punto si entra davvero nel tunnel del grande freddo fino a quando la stagione delle pioggie porta sollievo a chi latita dagli autolavaggi per poi sublimare nell’esplosione delle infiorescenze con quell’odore che i più associano allo sperma umano che si diffonde ovunque. Nelle case e negli uffici che aprono le prime finestre mentre nel resto dello stabile i più anziani lottano per mantenere ancora un po’ il riscaldamento acceso. Nei pressi dei vivai dove si fa la coda per portarsi a casa un po’ di natura finta e artificiale dal ciclo di vita breve quanto la passione che i vegetali possono suscitare. Nelle esposizioni dei megastore di articoli sportivi in cui attrezzature e abbigliamento per il tempo libero vanno a ruba fino a quando ci si rende conto che acquistare e possedere un qualcosa di tecnico per una disciplina non è sufficiente a farci appartenere all’insieme di chi la pratica. La stagione più calda che oramai non ha più un vero e proprio nome, tanto dura poco e si palesa in modo disordinato, è quella delle donne seminude, dei maschi in ciabatte e dell’aria condizionata sparata ovunque, nelle auto come nei negozi, per una trasformazione climatica che non so a che punto porterà il genere umano e la sua capacità adattiva. Per il resto, nei contesti urbani e urbanizzati non c’è altro da dire. L’osservazione del comportamento della flora o della fauna ha lasciato il posto ai programmi delle tv a pagamento e alle lampade che si accendono e si spengono nelle abitazioni limitrofe alla propria che già stanno sparendo, coperte dalle luci condominiali accese ventiquattro per sette che prima o poi, oltre alle stagioni, uccideranno persino il giorno e la notte.

aridatece bernacca

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E alla fine ci sono cascato anche io. Ho installato un’app che ti dice il tempo che farà il per il futuro prossimo, almeno fino al sabato che viene e, considerando che oggi è domenica, sono ben sei giorni. Posso sapere se nel momento in cui partirò per le vacanze estive ci sarà il sole oppure no o cose anche meno nobili, come se oggi potrò stendere sul balcone i panni senza che la tromba d’aria Tizia o Caia mi costringerà a raccogliere calzini e boxer nel corsello dei box. E anche questa nuova moda di dare un nome agli eventi atmosferici che è in auge da un po’ qui in Italia, giusto per importare dall’estero sempre e solo gli aspetti meno utili. Non so, non potremmo copiare i tedeschi nel loro senso civico anziché tirare in ballo i protagonisti della mitologia o della letteratura classica per questo o quello, non considerando che al massimo la gente conosce i personaggi dei libri di Moccia e che si trova a disagio con la letteratura in genere, soprattutto quando fa un caldo porco. Già, siamo in estate, di norma le temperature sono elevate. Ed è facile chiedersi da quando le condizioni meteo siano diventate un argomento di discussione così diffuso, oltre il proverbiale più e meno con cui intrattenersi con gli sconosciuti nelle sale d’aspetto. Ci sono persino programmi che vanno oltre i consigli su prendere l’ombrello o indossare la canottiera, c’è tutto un mondo di meteo-star che entra nelle nostre case dalla tv, dalle riviste, dalla rete, per convincerci a desistere dai nostri piani perché – oddio – pioverà. Hanno un impatto sull’economia, riescono addirittura a farsi nemiche le associazioni di categoria in ambito turistico. Esistono persino canali televisivi monotematici dedicati alle previsioni del tempo. Così pensavo che cazzo ci sia da dire, come prima cosa. E poi perché se ne deve parlare. Se c’è il sole, bene. Se piove, amen.

con l’archeologia dei sentimenti

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Ci pensavo giusto ieri sera perché mia figlia ha fatto il suo ingresso nella storia. Che è una bellissima notizia. Dopo mesi di vicende astratte in cui da un nonsisabenecosa sono usciti delle specie di scimmie grazie allo spazio che monumentali dinosauri ci hanno gentilmente lasciato scomparendo dalla faccia della terra, ora si inizia a fantasticare su qualcosa di più concreto. Il Tigri, l’Eufrate e i Sumeri, roba che poi i ragazzi alle medie arrivano che non sanno nemmeno dove vivono ma dalla Mesopotamia prima o poi devono passarci tutti, magari proprio non in questi giorni vista l’aria che tira laggiù. Ma siamo sicuri poi che faccia così bene immaginarsi solo le cose, senza vederle mai? Leggere la teoria perché la pratica è inapplicabile, appartiene a qualche migliaio di anni fa o semplicemente si nasconde chissà dove nell’Internet? Immaginate un appuntamento al buio. State giorni a chattare con qualcuno e poi decidete di incontrarvi, che poi quella, dell’Internet, è la morte sua. E anche se non vi siete mai visti ma c’è qualcuno che vi aspetta davanti a un monumento in mezzo a una folla di visitatori, state certi che vi riconoscete subito. Tu e l’altro siete i due che sono lì per vedersi, come siete dal vivo, e avete una faccia diversa da tutti. Può essere che uno dei due abbia le gambe come Pistorius e non l’ha detto perché sapeva essere un dato fondamentale per conoscersi ma poi all’ultimo momento è naturale omettere particolari che fanno cambiare idea. Magari scoprite entrambi che siete due spilungoni da due metri e passa e nessuno lo aveva rivelato all’altro. Mi immagino la vostra reciproca sorpresa, in un caso come questo. Una storia che inizia con una fatalità del genere come minimo deve durare per sempre, almeno altrettanto tempo da quando i Sumeri non ci sono più. Giocare con la fantasia è un azzardo feroce, non si perde mai ma in realtà non si vince nemmeno una volta e sì, certo, il grosso vantaggio è che se bari nessuno lo verrà mai a sapere.

‘orno, ‘era

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Il più grave problema delle eccezionali condizioni meteorologiche di questi giorni è l’abbondanza di argomenti di conversazione e i semplici conoscenti o emeriti sconosciuti che si sentono in diritto di scambiare pareri e impressioni sul tempo, e solo la presunta gravità della situazione porta l’autorevolezza della discussione una tacca sopra il classico parlare del più e del meno, tanto da farci rimpiangere quelle belle giornate dai toni piatti, cielo grigio su e foglie altrettanto grigie giù a cercare un po’ di blu ma solo dentro noi stessi o nel libro che stiamo leggendo e dalla trama del quale non vorremmo essere distratti, o, nei casi di maggiore inclinazione alla tecnologia, in tablet di ultima generazione a distruggere muri di mattoni virtuali con palline altrettanto dematerializzate sperando che siano dotati di attacchi per gli auricolari. Le sempre più puntuali previsioni che ormai azzeccano quasi l’ora il minuto e il secondo in cui succederà qualcosa di anomalo, e la discutibile reazione dei responsabili della gestione delle emergenze che si stupiscono a scoppio ritardato confondendo la prevedibilità di una nevicata con l’imprevedibilità di un terremoto, perché si vede che non è stato ancora interiorizzato pienamente il fatto che il clima mediterraneo ormai sia niente più di una definizione romantica che si trova solo sui sussidiari della loro infanzia e che ora è superata tanto quanto il concetto stesso di floppy disk. Facciamocene una ragione, siamo continentali come la mitteleuropa e di questo la Merkel dovrebbe tenerne conto quando pensa a noi italiani, se salvare un popolo meridionale oppure no. E così ogni anno l’anomalia climatica che sommerge città o spiazza i sindaci nazionalsocialisti lascia il tempo che trova, cioè può anche tornare il sole, perché poi subentra qualche argomento più urgente del perché le rotaie delle regioni settentrionali non sono attrezzate contro il ghiaccio come in Svizzera, o come faranno i senzatetto a non uscire di casa. Ma sia detto una volta per tutte: il grande freddo non c’entra nulla con tutto questo, era un film che parlava di un ghiaccio metaforico che però era dentro qualcuno che poi ha fatto il figlio con il suo migliore amico perché lui era sterile, e non metaforicamente.