fronte del retro

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Avanti sì, ma da che parte? E anche da parte è il davanti? La direzione per lasciarsi qualcosa alle spalle qual è? Il giro di boa è a 360 gradi? Capita che nella nebbia imbocchi una rotonda a e prendi la stessa strada da cui sei venuto ma te ne accorgi dopo. Quindi andiamoci piano con le facce della medaglia, con giochetti della casistica come l’intramontabile testa o croce, almeno fino a quando sarà in auge il denaro contante. La parte anteriore di certe cose è facile da distiguere dal resto e non ci si può sbagliare. Per esempio ci sono certi automezzi che assomigliano ai loro padroni proprio come i cani. Autoarticolati condotti da montagne umane che scendono dall’abitacolo quando è il caso di imporsi senza discutere e qualcuno a bordo di una city car pretende l’uguaglianza razziale e gli stessi diritti dei giganti della strada. E fateci caso, non è mai il contrario. Ci sono anche certi camper che hanno la stessa faccia di chi li possiede e non solo di chi li guida. Le famiglie sonon fatte quasi sempre con lo stampino e il furgone attrezzato per le vacanze a furia di solcare chilometri nelle code più amene delle nostre strade costiere si modella e si affina per dimostrare la riconoscenza verso chi lo ha scelto come seconda casa. Musi schiacciati o mascelle larghe, fanali con espressioni stupite adatti ad albe mozzafiato nella natura incontaminata, occhiali spessi come fondi di bottiglia, colori sgargianti o il grigiore delle città da portarsi appresso nella speranza che la luce del sole acceleri la mutazione o favorisca il miracolo. Avanti anche per superare le tappe e anche lì, voi siete così sicuri della direzione? Pensate agli obiettivi che si hanno a un certo punto della vita come trovare senza sosta un punto in cui sostare per infrattarsi o guardare le cose con il potere d’acquisto dei propri genitori. Hey papà hai fatto caso a come si somigliano i nostri portafogli? Scegliere con cura tutti i regali per il prossimo e trovare quello che può essere acquistato in stock, uguale per tutti. In fondo un dono è una parte di sé ed è bello avere una fase dell’esisstenza in cui poter pensare che gli altri abbiano il piacere di mettere nelle proprie case qualcosa di noi. Come se non bastasse già il fatto di frequentarsi, d’altronde basterebbe il pensiero. Quindi abbiate a cuore le vostre scelte prese senza un addetto all’orientamento messo a disposizione da una qualsiasi istituzione al neofita, al primino, all’esordiente. Dell’esperienza altrui non sappiamo che farcene se abbiamo fatto indigestione di valutazioni circa la parte più conveniente ove voltarsi per partire. Chi vive sul mare è fortunato perché ha un punto cardinale certo e indiscutibile, gli altri che si arrangino.

di certo non si può dire che ci si annoia

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Se siamo sopravvissuti fino a qui è perché abbiamo potuto raccontare di compagni di stanza in ospedale che non sarebbero andati oltre giovedì, persone anche meno anziane di noi ma molto messe peggio per cui assistere alla loro fine non sarebbe stato comunque un fattore corroborante per la nostra convalescenza. O amici di amici molto sfortunati coinvolti in incidenti che hanno dell’incredibile altrimenti non sarebbero incidenti, uno dice. Che crudeltà. C’è sempre un terremoto nell’altro emisfero, un tornado in una grande pianura continentale, un vulcano che esplode solo perché ha un nome impronunciabile. Ma questo non vuol dire che non sia anche merito nostro, che quando camminavano in strade pericolose non ci siamo lasciati avvicinare da nessuno di quelli che a ridosso di anfratti suburbani lanciavano il loro richiamo fatto di consonanti aspirate e sibili indecifrabili apposta, così ti facevi sotto per chiedere spiegazioni e a quel punto non c’era scampo ma solo ottime possibilità di passare dalle clic clac alle monodose senza ritorno. Un sentiero tutto luminoso che ci ha portato a pensare che pettinare e vestire i nostri figli come noi sia la cosa più ovvia, come se fossimo un esempio solo perché, ripeto, siamo qui a scriverlo. E ai limiti opposti della nostra vita ci sono le generazioni che ci tirano da una parte e dall’altra. Chi è troppo vecchio ci aspetta vestito di tutto punto a fianco del proprio armadietto in reparto perché è andata bene ancora una volta, chi è troppo giovane ci saluta con l’ennesima domanda prima di essere inghiottito in un altro giorno di una scuola che è talmente cambiata che facciamo fatica a coglierne l’utilità. Così restiamo immobili in questo baricentro di equilibri che speriamo non cambino mai o, almeno, che ci si lasci il tempo di rimetterci in sesto.

le conseguenze dell’amore

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La vita bisogna prenderla così com’è: quanta verità in una sola riga, anzi metà, specialmente di questi tempi in cui non c’è più Clarence Clemons che fa i soli di sassofono. E non ci si può fare nulla se sono in tanti a indossare tute di taglia approssimativa e scarpe da ginnastica nel weekend, la gente è stata persuasa dalle riviste specializzate in benessere urbano a sentirsi più comoda così, poco elegante e con abbinamenti di colore da divisa sportiva. Figuriamoci poi nell’anno delle olimpiadi dopo tutte quelle sfilate di atleti e campionesse in completi e tailleur nazionalisti, per assistere alle quali abbiamo persino rinunciato a qualche serata delle nostre ferie estive.

Ma quella frase lì, quella che ho scritto all’inizio, mi rendo conto che si tratti di una vera e propria rivelazione. Non che non lo sapessi già, o per lo meno non immaginassi che fosse proprio così, ma sentirselo dire dalla propria zia al telefono mentre si cerca di offrire il conforto alla perdita dello zio dopo che entrambi si è convenuto sul fatto che arrivare a un traguardo che già nessuno vorrebbe tagliare e in più in condizioni così come è arrivato lui, che sembra una presa in giro dopo una vecchiaia dignitosa, è meglio spingersi in avanti con il petto come fanno i centometristi e arrivarci prima possibile. Senza tuta e senza divisa, chiaro, nessuno vorrebbe ritrovarsi in un luogo sconosciuto tutto sudato e magari con la biancheria non proprio immacolata che chissà poi magari c’è qualcuno come al pronto soccorso che ci deve spogliare per sistemarci per bene, anche se sono convinto che là c’è tutto buio e a quel punto chi se ne importa.

Quegli zii, quelli di cui adesso è rimasta solo lei, avevano un figlio che era mio cugino, appunto, e che un giorno ha venduto tutto quello che aveva, persino un lettore cd portatile. Ha lasciato il lavoro, i genitori e anche me che eravamo piuttosto uniti perché oltre a essere cugini primi eravamo anche quasi coetanei e frequentavamo lo stesso gruppo di amici e se n’è andato a cercare fortuna in Messico. Qualche mese dopo l’ambasciata ci ha informato che era morto, ha avvisato noi che sull’elenco telefonico eravamo i primi con quel cognome e siccome gli zii non erano in casa ci ha pregato di comunicare noi l’accaduto ai genitori. Ricordo che ho accompagnato mia mamma da suo fratello e non vi sto a raccontare com’è andata perché è facile immaginarselo. Ma tutto questo mi è venuto in mente proprio quando ho sentito mia zia dire che la vita bisogna prenderla così come viene. Perché intanto dove sta scritto che i figli poi un giorno se ne vanno a vivere distanti e che tutti gli animali lo fanno, forse perché la natura è così altrimenti il branco o il clan o la famiglia, chiamatelo come preferite, poi diventa troppo numeroso tra nipoti e pronipoti e bisnonni e avi non c’è da mangiare a sufficienza per tutti. Meglio dividersi e spartirsi i territori di caccia.

Ma non riuscirete a convincermi, proprio per nulla. Dove sta scritto che non c’è posto per tutti e che c’è bisogno di avere un casa propria con un arredamento economico e degli hobby se poi è così piacevole anche solo passare il tempo a guardarsi perché non c’è nulla che valga di più, figli e padri e madri che cercano di capire come è stato possibile, chi ha avuto per primo quell’idea vincente di brevettare la meraviglia di esserci, a pochi metri, basta mettere il segnalibro e allungare il braccio e ci si sente, in carne e ossa.

della premura e della pressione

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Il primo è quello dentro che ci avvisa della situazione di emergenza, c’è qualcosa di estraneo al nostro stato di incoscienza che ci avvisa che dobbiamo attivare la stessa procedura che abbiamo messo in esecuzione un numero di volte che a calcolarlo ci si perde un po’, che è quella che impone al nostro organismo di svegliarsi e spicciarsi a premere il secondo pulsante della giornata per zittire la sveglia. Poi c’è la prima luce della giornata, quella del bagno e fatto quello che si deve fare c’è un interruttore uguale in cucina. I più temerari schiacciano anche quello della radio, a volte un pulsante altre è una manopola vintage da ruotare e altre ancora addirittura un tastino di un telecomando. Poi ci sono quelli abituati bene che hanno la macchinetta del caffè automatica ed è un altro bottone di accensione, a meno che non si tratti di uno di quei modelli programmabili che oggi sono molto di moda e che ti viziano soffiandoti l’aroma della miscela preferita fino in camera da letto.

Da lì si inizia a non contarli più perché a tirare fino a sera, fino all’ultimo che spegnerà l’abat jour sul comodino, tutto ciò che esercita una pressione su di noi ci induce ad esercitare una pressione su un pulsante o su una cosa simile da schiacciare. Quello per accedere al piano sottoterra nell’ascensore dove ci aspetta l’auto nel garage per portare i figli a scuola e poi cominciare la nostra giornata professionale, un viaggio breve solo in apparenza perché cela un vero e proprio allunaggio in un pianeta parallelo che ci allontana sempre più dalla nostra base sulla terra. Quello dell’autoradio che ci vomita addosso tutte le cattive notizie del momento. Il citofono dell’ufficio con un sistema automatico che ci dà il benvenuto alla nostra dose di produzione quotidiana.

Per non parlare di tutti quei tastini con lettere e numeri e funzioni e combinazioni che ormai le nostre dita conoscono alla perfezione. Per vincere la noia e sfidare noi stessi a volte chiudiamo addirittura gli occhi e le mani vanno da sole nemmeno avessimo fatto dattilografia alla scuola per segretario d’azienda che probabilmente non esiste più, chissà, e poi li riapriamo e controlliamo quello che abbiamo scritto e non troviamo nemmeno un errore ma attenzione, perché basta solo spostare di pochi millimetri la posizione delle mani sulla tastiera e mantenendo le stesse proporzioni si genera un vero e proprio sistema di cifratura come quel gioco che c’era sul Manuale delle Giovani Marmotte. Già. Il tutto su un computer che abbiamo acceso in qualche modo e che poi a fine giornata spegneremo probabilmente con lo stesso bottone. Nel mezzo abbiamo intanto smistato chiamate in arrivo sulla pulsantiera del telefono, abbiamo scelto il surrogato di caffè alla macchinetta optando per le relative condizioni. Lungo o corto o moccaccino (una parola che mette i brividi) e più volte premiamo il bottone e più diminuisce la quantità di zucchero. Insomma ci siamo capiti.

Tutto questo schiacciare che contraddistingue la nostra giornata ha in sé un significato, ed è qui che volevo arrivare. Tutto questo attivare o arrestare processi automatici aumenta la nostra consapevolezza oramai scontata che tutto funziona e tutto ha un meccanismo che non si inceppa mai. Spingi e via. E poi? Ogni cosa sembra essere a portata di clic, e lo si impara da piccoli. Facevamo un gioco, io e mia figlia, tempo fa, quando non sapeva ancora leggere e toccava a me accompagnarla nel sonno narrandole una storia tratta da uno dei suoi libri preferiti. Sapete come sono i bambini, fosse per loro passerebbero il tempo ad accendere e spegnere interruttori, qualunque essi siano, perché per loro dev’essere qualcosa di magico. E i grandi si inventano minacce tipo basta che si rompe, si fulmina la lampadina, prendi la scossa, si può generare un incidente nucleare e via dicendo. Così mia figlia si divertiva proprio con la lampada del comodino. Accesa e spenta. Accesa e spenta. E il gioco era che io leggevo con la luce accesa e interrompevo il racconto non appena premeva l’interruttore. A quel punto la storia si perdeva un po’ e lasciava spazio a quel sistema surreale di approvvigionamento energetico verso gli essere umani narratori. Che si possono attivare e disattivare a comando. E il bello era che potevamo andare avanti anche mezz’ora, se la lampadina si brucia chi se ne importa, pensavo. Che poi non è mai successo. Lei si divertiva e va bene così. E chissà cosa le è rimasto di quel potere che presumeva di avere, perché si arrivava a un punto in cui dovevo rompere l’incantesimo. Parlavo anche al buio e dicevo ora basta, dai, dormiamo. Ma la magia riprendeva la sera successiva e poi quella dopo e c’era sempre da sbellicarsi dalle risate, vi giuro, sia io che lei ridevamo fino alle lacrime. Ecco, tutto questo avviare dovrebbe meravigliarci ogni volta, l’incantesimo delle cose che vanno nel verso in cui abbiamo premuto il pulsante. In avanti, verso il dopo, verso la luce che si accende, perché al buio c’è quasi sempre qualcuno che ci tranquillizza.