che soddisfazione

Standard

Non sono rare le volte in cui spingiamo il tasto play di un qualsiasi tipo di riproduttore sonoro, un insieme che comprende anche tv e radio e, visti i tempi che corrono, pc o ipad e tutto quanto è a rischio canone, e casualmente ci troviamo proprio faccia a faccia con la canzone perfetta per quel momento lì, le parole più adatte al pensiero che stavamo formulando tanto da indurci a gridare – magari solo con l’immaginazione per non sembrare folli – al miracolo. Una versione secolarizzata di “ho visto la luce” e solo perché un concetto espresso e messo in musica dalla popstar di turno ha colpito nel segno, il lamento di un cantante che magari nel frattempo è passato a uno stato più nobile sebbene più evanescente, e si sta già esibendo ad un pubblico più spirituale e molto più vasto, anche se meno remunerativo secondo il nostro metro di giudizio, accompagnato da chissà quali cori celesti. Un cambiamento di dimensione piuttosto comune nell’ambiente, talvolta volontario quanto cruento.

Ed è giusto ridimensionarci il più possibile, la musica è evocativa e questo lo sosteniamo da sempre quindi è facile scovare reminiscenze di una vita passata in un’appoggiatura o in quel particolare intervallo armonico, per non parlare dei versi in cui ci si perde e ci si ritrova tanto più sono ermetici. Con una punta massima nelle liriche in lingue straniere che mastichiamo dalle elementari e che ci concedono l’illusione di una totale personalizzazione al corrente stato d’animo, tanto nessuno lo verrà mai a sapere. Voglio dire, considerando che per il 99% dei casi la tematica dominante che il musicista manifesta attraverso le proprie composizioni è il desiderio di congiungersi carnalmente con l’amato/a, corrente, anelato o perduto, è facile che la comunanza di pensiero con il proprio io che in quel momento ne usufruisce ci lasci allibiti, e ad ogni pronuncia della parola “love” – per fare un esempio dei più classici – il nostro sentimento temporaneamente platonico si arricchisca di un link tra l’iperuranio e i propri ormoni già in subbuglio grazie alla componente ritmica del brano in ascolto.

E questo è il bello dell’arte commerciale, no? Qualcuno l’ha pensata spendibile ad ampio raggio, pronta a centrare più cuori possibili, e noi amanti del pop non ci scandalizziamo di questo, ci mancherebbe. Ci beiamo con centinaia di milioni di nostri simili in tutto il mondo quando un eroe della trasgressione protetta dal diritto d’autore ci aiuta a identificare il disagio, la sofferenza, la gioia, il punto di non ritorno. Ci aiuta a focalizzare quali sono i nemici da combattere, i vizi da approfondire, le persone da evitare, i problemi che non riusciremo mai a risolvere da vivi. Senza contare che, nella maggioranza dei casi, si tratta solo di una delle più volatili coincidenze che l’appartenenza al genere umano riserva, se non da secoli almeno dall’invenzione dei Rolling Stones.