quella volta in cui a carnevale mi sono vestito da groovebox

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Ma se voglio rilassarmi sul serio davanti al pc mi metto le cuffie e mi faccio un giro sulla nuova release di Youtube con quell’opzione di realtà arbitraria – ben più utile della realtà aumentata – che ti fa vedere i video come li vorresti tu. Non c’è social che tenga soprattutto per gli amanti della musica come me. Per farvi un esempio, cerco una canzone dal vivo per vivere l’emozione di concerti a cui non ho potuto partecipare perché dall’altra parte del pianeta, per ragioni anagrafiche (casi rarissimi) o perché non ho acquistato il biglietto punto e basta. Il pezzo inizia perché è una hit straconosciuta e il cantante che fa? Rivolge il microfono verso lo stadio o la platea per incitare i fan al coro. Ma io non voglio sentire la gente che stona e va fuori tempo. Sono a un concerto e ho pagato per sentir cantare te dal vivo, non perché tu facessi cantare la folla. Così attivo la funzione di realtà arbitraria e le cose vanno come dico io. Il divertimento è assicurato.

Poi ci sono quelli che si cambiano a piacimento le finali perse dalla squadra di calcio del cuore, con rigori che vanno a segno, espulsioni evitate, fuori gioco non fischiati e cross riusciti. Di sport non me ne intendo molto ma immagino che molti di voi siano usi a questi passatempi. Io mi appassiono di più con i film cambiando le scene clou e i finali anche a volte in peggio per vedere che effetto avrebbe fatto su degli spettatori come me. Un altro cavallo di battaglia personale è la storia. Quando trovo materiale video a sufficienza su Youtube non vi dico quali stragi di stato sventate o anche cogliere gli autori sul fatto è un vero spasso. Potete immaginare come staremmo bene noi italiani ora se certe cose fossero andate come dico io.

Se poi avete la fortuna di avere un vostro canale personale con video che vi riguardano, la realtà arbitraria è la morte sua. Io ho trovato quel filmato che ha caricato Simona di quando siamo stati alla festa di carnevale e vi giuro che è stata l’unica volta nella mia vita in cui mi sono mascherato. Ero vestito da suora con le calze a rete e gli anfibi ma avevo sedici anni e me lo potevo permettere. Eravamo con i suoi genitori e molti loro amici di famiglia, uno dei quali aveva equivocato il mio travestimento considerandolo nell’accezione che potete immaginare e, nella confusione di certi balli di gruppo, un paio di volte ha messo le mani dove non doveva. Comunque per farla breve ho attivato la realtà arbitraria e in quella che era l’unica volta della mia vita in cui sono entrato nello spirito del carnevale anziché da banale suora mi sono vestito da groovebox insieme ad altri quindici amici. In sedici in totale, cioè, ognuno a impersonare il tasto di un sedicesimo di una groovebox che se attivato suona, se no fa la pausa. Mi spiace se non siete del mestiere e non sapete cosa sono le groovebox, non saprei proprio come spiegarvelo. Se invece avete capito, e volete mettere su una maschera di gruppo con me per la prossima occasione, fatemi sapere. Nel frattempo mi godo lo spettacolo di me vestito da un sedicesimo di groovebox mentre con gli altri quindici amici (che poi in quanto ad amici non supererei le cinque unità) inventiamo pattern ritmici coinvolgenti e siamo il centro della festa, proprio in quel video su Youtube pubblicato da Simona ma che va a finire come dico io.

se la tv on demand non rispond

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Volevo scrivere qualche considerazione su Jonathan Franzen, il nuovo romanzo “Libertà” (ho solo 6 prenotazioni in biblioteca prima della mia, un totale ad oggi di 38, il momento della lettura si avvicina), di quanto ho apprezzato “Le correzioni” e “Forte movimento”, di quanto mi coinvolga la sua scrittura. Volevo approfittare di alcuni spunti emersi durante l’intervista all’autore sabato scorso a “Che tempo che fa”, particolari che avevo notato anche io nelle sue opere precedenti tanto quanto la persona seduta nella metà sinistra dello schermo. Volevo sottolineare qualche collegamento, qualcosa che mi sembrava intelligente. E per pubblicare un post completo di fonti e richiami, ma anche per controllare che quanto avevo sentito durante la trasmissione fosse davvero quello che ricordavo, passaggi che avevo pensato di lasciar decantare per non scrivere mosso dall’entusiasmo, a caldo, sono andato su youtube a cercare l’intervista. Toh, non è stata ancora pubblicata (ultimo aggiornamento: le 19.29 del 23/03). Il che è curioso: Santoro, Littizzetto, Travaglio e altri fenomeni televisivi sono disponibili già a pochi minuti dalla fine dei loro interventi. Peccato che uno dei più noti e bravi (e anche un po’ di moda, diciamolo, ma, come si dice da queste parti, in sci veghen) scrittori contemporanei non sia altrettanto oggetto di culto (mi direte: perché, se ci tieni tanto, non lo metti on line tu?).

Vabbè, poco male, vado sul sito della RAI, sicuramente lo trovo lì. La prima volta, mi viene chiesto di scaricare Microsoft Silverlight, che, a dir la verità, non so nemmeno se si tratti di un plug in o che altro. Ma tale è il desiderio di rivedere Franzen, di non lasciarmi scappare le cose che vorrei scrivere che clicco il consenso all’installazione senza pensarci su, qualsiasi cosa sia. Magari è uno spyware di Microsoft che serve a identificare programmi craccati. Sono fritto. Speriamo di no.

Poi però metto a fuoco il nocciolo della questione: il fatto che un portale come quello della RAI utilizzi una tecnologia di streaming differente da Youtube, che, per quanto ne so io, è  la più comoda e funziona con qualsiasi sistema operativo e qualunque browser. Da sempre ho il mito dell’integrazione, dell’interoperabilità tra ambienti e dell’utilizzo di sistemi standard, il tutto favorito dall’uso del protocollo IP. E penso anche che il servizio di web TV on demand di una emittente prestigiosa e autorevole come dovrebbe essere l’emittente pubblica italiana utilizza piattaforme non immediate e poco comuni, il che non depone a suo favore.

Non fa nulla. Installato Silverlight, chiudo Firefox, lo riavvio, torno al link. Parte la pubblicità, 14 secondi al contenuto scelto. Bene. Silverlight funziona. Poi l’animazione del loading. Bene. Poi il buio. Il nulla. Ci riprovo, pensando nel frattempo, per non perdere l’ispirazione preziosa, a come organizzare le cose da scrivere.  Chiudo Firefox, lo riavvio, torno al link. Altra pubblicità, questa volta solo 9 secondi. Ok. Poi ancora l’animazione. Poi un avviso: “Riconnessione al server in corso”. Ed ecco, finalmente,  il video tanto agognato.

Ops. Contenuto non disponibile. Ma no. Sarà un problema di sovraccarico. Sarà il mio PC. Sarà Firefox. Sarà per la prossima puntata.

p.s. forse era destino, le cose che volevo scrivere su Franzen, e che nel frattempo ho dimenticato, non erano così interessanti. Magari mi verrà in mente qualcosa una volta finito “Libertà”. E lo so, il titolo di questo post non è granché.