verba volant: ma anche no

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Chissà chi ha cominciato. “Ma anche no” probabilmente nasce come mantra di un berluscomico di Zelig (non il film di Allen) e si diffonde come alternativa da tv commerciale a un semplice, secco e sicuramente più efficace “no!”. Perché se dici “ma anche no” l’interlocutore equivoca che tu voglia fare dell’ironia, che tu non prendi seriamente le ragioni che ti avrebbero voluto spingere a dare una risposta negativa. E fai una brutta figura, fai intendere che ti esprimi con un linguaggio che non è tuo perché hai assimilato una moda linguistica, rischi di essere preso per una persona poco seria. Riesci a dirlo, poi, completamente guardando negli occhi l’interlocutore? Prova a fissarlo e a mettere insieme le tre parole senza distogliere lo sguardo. La maggior parte, già durante l’anche sposta le pupille altrove, non regge il confronto, sa che sta dicendo una cazzata e che sta perdendo credibilità. Ma un rifiuto deve essere monosillabe (Mai! No!), deve colpire a fondo e lasciare esanime l’avversario, non strusciarlo con un timido strascico di egoismo. No e poi no: solo così si chiudono le discussioni.

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