il peso di queste distanze

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Abbiamo caricato tutto su quella specie di uovo di pasqua beige messo per orizzontale che usiamo come mezzo di trasporto ed è il momento dei saluti. Temporanei, chiaro. Ti lasciamo lì, con i nonni, la zia e tua cugina e ci rivediamo tra una decina di giorni. Non puoi stare a Milano con mamma e papà, fa una caldo insopportabile, tutte le tue amiche sono via, non sapremmo come organizzare la giornata. Potresti trascorrere il tempo in ufficio con noi, ma ti annoieresti: letto un libro, fatto un disegno, giocato un po’ sul pc, magari potremmo anche portare un dvd da vedere, ma otto ore sono tante. E al terzo giorno ti risulterebbe insostenibile. Invece sei lì, al fresco, ogni giorno qualcosa di diverso, un panorama nuovo, un’attività divertente, e anche se piove e sei costretta a stare in casa e fai quello che faresti qui con noi, lì è molto meglio, fidati. Così ci stringiamo, forte, ti bacio tutta la faccia occhi compresi, poi è il turno di mamma, quindi mi metto al posto guida, chiudo la porta, allaccio la cintura e avvio il motore. Ma prima di partire mi volto a guardarti, vedo che il tuo sorriso è un po’ forzato e ti dico di non preoccuparti, ci sentiremo tutte le sere, è poco più di una settimana e il tempo fa presto a passare. Ti mando un bacio, lo prendi e quindi abbassi lo sguardo e spegni il sorriso. Metto in prima e si va. Il resto non l’ho visto ma l’ho saputo. Hai resistito il tempo di tre rampe di scale e senza dire nulla sei andata in cameretta, a piangere in solitudine. Ma poco.

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