una questione privata

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Quando ti ho visto ballare, la prima volta, ho immediatamente pensato che non fosse un pezzo adatto a te. È partita la canzone, ti sei fatta largo tra la gente, e hai iniziato a muoverti. Male, scoordinata, tendente al grottesco. E subito non ho dato la colpa alla tua sommaria attitudine all’andare a tempo perché avevo gli occhi obnubilati dal desiderio. Ma al momento del ritornello, quello che tutte le volte in cui lo ascolto mi viene la pelle d’oca o le lacrime agli occhi a seconda del mio stato d’animo, tu hai messo insieme una sequenza di gesti e posture da brivido. Di paura, naturalmente. Hai rovinato la poesia. Lì l’idillio è finito. È stato bello, ma scusami, cara. Per me il ritmo è tutto.

E non credere che la cosa non mi abbia fatto riflettere. È possibile mettere al bando le selezioni musicali che danneggiano la reputazione delle persone? No. Si fa prima a marchiare le persone che non sanno andare a tempo. Sfido chiunque a mettere per iscritto un elenco dei pezzi più imballabili della storia del dancefloor, compresi i club e le playlist di roba indie-alternative. Bella scommessa, direte voi. Quale Dj sarebbe così autolesionista da mettere pezzi imballabili? Ne va dell’autorevolezza del locale, del tempo libero – molto più che oro – degli avventori che hanno pagato e consumato per ballare e divertirsi, della reputazione stessa del Dj. “Che storia, l’altra sera Dj Tizio ha mixato i Ting Tings con Luglio, Agosto, Settembre nero degli Area”. Eh magari. Non è possibile, ci sono pezzi che nessuno proporrebbe al proprio pubblico con la pista gremita, e, se ti esaltano, è meglio ascoltarli da soli o in auto, in compagnia ristretta, tra amici che conoscono quel pezzo e già sanno come comportarsi.

Esistono però brani borderline che è sconsigliabile suonare a un pubblico – diciamo – generalista? I pezzi con la cassa in quattro costituiscono lo specifico discotecaro prestato anche al clubbing e al Dj della domenica che inanella hit alla festa di laurea della migliore amica della sua fidanzata, si va sul sicuro, donne e uomini – tranne chi proprio il ritmo nel sangue non ce l’ha, e non è una questione genetica – si dimenano, si corteggiano, si ubriacano e cedono l’un l’altro. Mi riferisco a qualsiasi cassa in quattro, il 99,99% della musica occidentale moderna. Arditi musicisti hanno introdotto i ritmi dispari in quarti, sette per esempio, in cui l’alternanza di battute da 4/4 e da 3/4, 4 e 3 beat per chi è autodidatta, e attenzione a proporli perché si rimane un po’ spaesati sul 3 della seconda misura ma si cade sempre sul morbido della successiva che è regolare, ma alla fine, se ci si concentra, ne deriva una sorta di gioco ritmico a cui adattare il proprio corpo, una sì e una no, una sì e una no e così via. Ora il nostro orecchio, anzi il nostro piede, è abituato, ma all’inizio pezzi come questo in sette non erano così immediati, lo stesso cantante di quel gruppo lì una volta si è perso (ma erano gli albori e la tournée era iniziata da poco, anzi forse era il concerto inaugurale, e possiamo perdonarlo). Una questione culturale, fondamentalmente. Altrove sono abituati alla scansione del tempo dispari, anche dispari più articolati e meno simmetrici e alternati a pari. Insomma, vien voglia di ruotare come dervisci in tondo e non ci si pensa più. Ma attenzione, se il buttafuori non è avvezzo (cosa molto probabile) la vostra interpretazione potrebbe essere scambiata per pogo e potreste venire immediatamente allontanati dalla pista.

Tutto questo per dire che? Ah ecco, i pezzi imballabili non esistono. Musica bellissima da ascoltare e che ti sembra ritmata ma che, haimè, se sei lì con la tua bella rischi una figura un po’ così, magari vai a sbattere con il vicino che in quanto a ritmo nel sangue è più anemico di te e poi di rimbalzo su di lei. E allora gridi “hang the dj”, ma non perché la musica non ti dice nulla della tua vita. Un trauma che mi porto dentro da un remix di “Love like blood” dei Killing Joke, non l’ho trovato in rete altrimenti avrei argomentato meglio questo futile post, con un paio di cambi, di stop and go totalmente aleatori che impedivano il flusso logico dell’assimilazione sonora, la scomposizione di suoni e silenzio in moduli di figure corporee, fotogrammi che scorrono in film fino quando un qualcosa che non riesco a descrivere lo ha interrotto, una forbice sul nastro. Buio. Corpi in nero sono piombati nel silenzio, muti. Solo l’handclap della batteria elettronica, indecifrabile. Un cambio imprevedibile e tutto è sospeso, ed è proprio lì che ho schiacciato un piede. Avevo gli anfibi. Lei si è risentita. Vai a capire il perché. È l’essere umano, talvolta, a non essere adatto al movimento sincronizzato.

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