scuola di volo

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Bruciare in un incendio o lanciarsi nel vuoto per sfuggirne. Pare che paradossalmente l’istinto di sopravvivenza ti spinga ad optare per la seconda ipotesi, perché il lancio nel vuoto contempla maggiori possibilità di salvare la pelle. E’ agghiacciante, già. In genere, almeno visto da qui, morire non sembra essere una bella esperienza. E avere la possibilità di scegliere come non ne migliora la qualità.

Vedere le foto delle persone che sono balzate giù dal chissàqualepiano di una delle torri gemelle ne è una testimonianza. Da una di queste foto un performer di strada prende ispirazione per una delle sue opere viventi. Si lancia imbragato a testa in giù da vari punti rialzati di New York. Mi verrebbe da dire living theatre, ma sarebbe più appropriato dying theatre. Lui è l’uomo che cade, ed è uno dei protagonisti di passaggio dell’omonimo romanzo di DeLillo. C’è un altro protagonista, che potremmo definire itinerante, fa di cognome Atta, ed è l’uomo che impara il terrorismo tra la Germania e l’Afghanistan e che, nel libro e probabilmente anche nella storia che lo ha ispirato, passa i controlli dell’aeroporto imbottito di fede, di odio (sovente sinonimi) e di esplosivo. Così si immagina, l’eroe immortalato dalle telecamere di sorveglianza nell’ultimo controllo violato, quello fatale.

Dalla vicenda madre di tutte le collisioni, un aeroplano pieno di corpi consapevoli del loro destino scagliato contro un grattacielo pieno di corpi ignari del proprio destino. Lì lavora Keith, che sopravvive all’impatto e va a prendere parte della catena umana di sopravvissuti e feriti che si incolonna giù dalle scale della prima torre colpita e si avvia così verso la vita che sarà. Pieno di schegge di vetro e sangue non suo inizia il suo personale post-undici settembre. Rientra a casa dalla moglie Lianne da cui era separato e dal figlio, e si lascia travolgere da un menage di reinserimento famigliare alternato a una dipendenza da poker, che presto avrà il sopravvento. Un libro pieno zeppo di significati e significanti, di macerie e di polvere, di morte e di non vita, almeno non più come prima. Tra bruciare in un incendio o lanciarsi nel vuoto per sfuggirne, l’istinto di sopravvivenza dovrebbe mettersi a tacere. Io comunque, avendo la forza di scegliere, preferirei morire carbonizzato.

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