occupy top 10: musica standard nell’anno dei ribelli

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Non è stato un anno di quelli che passeranno alla storia della musica, questo ventiundici, forse perché ne sono successe di ogni in altri settori degne di essere ricordate, e gli adolescenziali sforzi di sublimare nell’arte musicale le proprie pene sono passati in secondo piano, alla voce “ragazzino lasciaci lavorare in pace, c’è da risolvere prima una crisi globale”. Per dire, sarebbe davvero da mettere al primo posto di una top ten di qualsiasi natura le dimissioni di Berlusconi come elemento più eclatante di rottura apparente o no, come si usa mettere in copertina delle riviste musicali lo stesso B. come rockstar dell’anno o su quelle di tecnologia da benestanti Napolitano. O, se vogliamo proprio eleggere una canzone a regina dell’anno, l’unico titolo che viene in mente è “This must be the place” ma, si sa, non si tratta certo di una novità, almeno non per me. Non che non ci siano stati album e pezzi interessanti, ma nell’insieme viene difficile attribuire punteggi e prendere posizioni diverse dall’andare in piazza o farlo tuittandone l’incondizionata solidarietà.

Passa sicuramente la selezione per i posteri Nine Types of Light dei Tv on the Radio, nello stesso anno della scomparsa del loro bassista Gerard Smith. Un album forse meno graffiante dei loro precedenti ma con diversi elementi degni di nota, nel complesso una più che soddisfacente (diciamo un dal sette all’otto, per ragionare in termini da liceale) raccolta di suggestioni sonore valorizzata dall’ottimo omonimo lungometraggio. Unica pecca, non per colpa loro suppongo, il non essere transitati dalle nostre parti con il tour. Ma non demordiamo e li aspettiamo pazientemente. Ancora nella categoria delle band deluxe rientra Angles degli Strokes, nove tracce su dieci godibilissime eccetto l’unica da dimenticare, quella che sembra scopiazzata da quelle lagne dei Muse, incartate in una copertina d’altri tempi. Una facile e spensierata mezz’ora di pop fresco ricco di citazioni da Is this it. Un disco degli Strokes, insomma, per nostalgici e neofiti, sconsigliato a chi non regge le autocelebrazioni. Chiude questo primo paragrafo The whole love dei Wilco, tutt’altro che fuori tempo regolamentare per la band di Chicago, non è detto che i musicisti che transitano attraverso la maturità non abbiano voglia di sperimentare. Anzi, se la cavano piuttosto bene e dimostrano di essere perfettamente a loro agio.

Nella categoria “scommetto che sai muoverti bene in pista” vanno una serie di album appena oltre la sufficienza, che ho ascoltato appena pubblicati e dei quali a malapena ricordo una manciata di brani. Comunque, giusto per arrivare al numero legale per stilare una classifica, le mie preferenza per l’anno chiusura vanno a The English riviera dei Metronomy, comunque ben al di sotto del loro album d’esordio, Skying degli Horrors che invece si mantiene in linea con la qualità dei loro due lavori precedenti, How deep is your love dei The Rapture, sopravvalutato, e Show me light dei Friendly Fires. Ma, a conti fatti, ammetto che il genere synth-rock-funk-punk con ciuffi a destra come se fosse new wave inizia a stufarmi, anzi mi impegno da qui in avanti a snobbare le band che non fanno nulla per mettersi in discussione. Ci riuscirò? Comunque, discorso in parte a parte (?) per gli inglesissimi Bombay Bycicle Club, che trovo intrinsecamente più originali, e A Different Kind Of Fix non è niente male.

Un paio di titoli nella categoria “esordienti, aka mai sentiti prima”, quelli scoperti per caso da altre fonti, per lo più Ondarock. Un disco geniale è stato W h o k i l l di tUnE-yArDs (è meno faticoso ascoltarlo che scriverlo), strambo ed eclettico, pieno di riferimenti multiculturali in salsa creativa. Niente male anche Making mirrors di Gotye, un altro esempio di varietà stilistica, quella sana che consente di ascoltare un album per intero senza annoiarsi troppo.

Infine tre ottimi dischi da meditazione. Weather di Meshell Ndegeocello, raro esempio di vocalità versatile per una serie di canzoni da sera, l’alternative folk dei Low Anthem, che con Smart Flesh hanno dato vita a un piccolo capolavoro di essenzialità sonora e, per cambiare continente, Tassili dei Tinariwen, ma se ascoltate bene troverete lo zampino dei Tv on the Radio, e così il cerchio si chiude.

Poteva andare meglio, poteva andare peggio, poteva anche non andare del tutto. Buon 2012.

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