dico basta alla pirateria. Ora.

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L’ingenuità dell’articolo di Matteo Bordone su Wired è disarmante, soprattutto nella parte centrale che racchiude il classico manualino per sentirsi le dita pulite e l’how-to-do del dovreste fare tutti come me, chiedetemi come. Ma il punto è proprio nel passaggio in grassetto “per me le cose che contano vanno possedute”. Bravi, ma questo sono io a dirlo, bravi, continuate a riempirvi la casa di cose e a intasare le discariche di rifiuti, perché è lì che le cose finiranno una volta che sarete morti. Del resto, le cose che contano non sono digitali, un paradosso quanto una dimostrazione per assurdo perché se esiste un canale in cui una matrice può essere duplicata all’infinito e non voglio che quella matrice venga duplicata, la matrice stessa non deve essere digitalizzata, o può essere digitalizzata tramite un passaggio di conversione dall’analogico in cui la qualità per forza di cose è inferiore all’originale, per fare un esempio il film ripreso al cinema con il pubblico che si alza per andare a fare pipì o che chiacchiera in russo. Ma se si tratta di una matrice nativa digitale è evidente che occorre reinventare un sistema economico in cui il guadagno non dipenda dalla vendita del prodotto. Facile, no? Perché possiamo indignarci quanto vogliamo, ma non esisterà mai una pena o uno stato di polizia postale tale da arginare la pirateria o un’occasione così poco allettante da non fare di un uomo un ladro. Per buona pace di chi riempie di contenuti la rete, che prima o poi finiranno in una discarica virtuale e anche lì si porrà il problema del riciclo.

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