da due quarti, da un quarto, o anche meno

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Ho da poco finito di leggere un libro che si intitola “Il tempo è un bastardo” di Jennifer Egan, edizioni Minimum Fax, che è un buon libro e non lo dico solo io. Insomma, ha vinto un Premio Pulitzer per la letteratura, ha venduto 150 mila copie negli Stati Uniti e in effetti è godibilissimo perché fa parte di quella categoria di libri tutti uguali che sono solito leggere, romanzi che hanno alcune caratteristiche in comune a partire dal fatto che sono scritti da autori statunitensi e che sono pubblicati dalla Minimum Fax. Posso dire che questi due dettagli soddisfano un buon 80% dei miei criteri di scelta quando sto per finire una lettura e iniziarne un’altra, ma tenete conto che avendo a disposizione un efficace sistema bibliotecario posso anche prendere cantonate senza rimetterci i soldi dell’acquisto.

Ma, tornando al motivo per cui vi ho introdotto l’opera in questione, il libro comprende un intero capitolo nella sua seconda metà scritto sotto forma di slide Power Point, il che in prima istanza mi ha spaventato. Voglio dire, Power Point per chi opera nel terziario avanzato corrisponde a uno strumento di tortura, ci si può anche morire di slide, e li riconosci subito quelli che ne fanno un uso massiccio perché parlano a punti con le iniziali maiuscole di ogni parola e vanno e vengono utilizzando transizioni. Carina come metafora, eh?

Il bello di quel capitolo si scopre non essere tanto la forma, quanto la sostanza, perché – mi si perdoni il piccolo spoiler – si narra di un ragazzino che ha una forma maniacale di ossessione per le pause nei pezzi musicali. Registra ogni pezzo in cui si trova una pausa, il punto in cui è presente, il valore all’interno del brano, quanto ne guadagnano le porzioni precedente e successiva nel pezzo e via così, e l’autrice, per mano della sorella del ragazzo in questione, genera grafici e elenchi di tutti questi dati il che, come potete immaginare, mi ha affascinato molto. Si tratta infatti di una cosa che non mi sarebbe mai venuta in mente malgrado io abbia per le pause una forte attrazione.

Stop e silenzi nella musica sono quanto di più interessante ci sia, proprio perché consentono all’orecchio di godere della coda di quanto appena ascoltato senza doverla mescolare con il seguito del brano. Paradossalmente, ogni passaggio dovrebbe essere interrotto per consentire tutto questo, anche se è chiaro che invece il bello della musica consiste proprio nella impossibilità di fermarsi a provare sensazioni singole ma a doverle per forza condividere sopra agli accordi successivi. Senza contare la fine del brano, in cui però si manifesta già la nostalgia della musica appena terminata grazie al potere evocativo della musica stessa, questo indipendentemente sia di nostro gradimento oppure no.

Non a caso la capacità di non suonare, ovvero suonare la pausa, è uno dei fondamenti del buon gusto in musica, e  i musicisti più talentuosi sono proprio quelli che sanno quando è il caso di stare in silenzio. Dagli altri, quelli che creano brusio continuo, è fondamentale diffidare, un po’ come nella vita di tutti i giorni, per chi come è non vede di buon occhio le persone onnipresenti, protagoniste e chiacchierone. Ma mentre grazie alle tecnologie digitali è possibile operare su parti anche infinitesimali di un file audio per ridurlo a un punto vuoto, e con questo fare sperimentazioni davvero sorprendenti – vi invito a provare, anche su musiche note o se preferite sui vostri pezzi – nei nostri contatti interpersonali quotidiani una analoga procedura sarebbe impossibile. Saper stare zitti è un’arte, altro che.

2 pensieri su “da due quarti, da un quarto, o anche meno

  1. Melusina

    Ho letto il libro e non mi è piaciuto. Ossia, è scritto benissimo, ma non mi è entrato dentro. Non ci siamo parlati. Direi che l’ho visto come un esercizio di virtuosismo, o di tecnicismo. Come se la Egan volesse essere DFW ma ovviamente non potesse neanche lontanamente assomigliarci.
    Sulla musica invece non mi esprimo: ho sempre trovato quantomai arduo, per me, usare parole per dire di musica, e invidio chi invece le conosce.

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