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Quante volte lo diciamo e lo sentiamo dire, è una delle prime parole che impariamo forse la terza dopo mamma e papà perché ogni cosa che chiedevamo o che ricevevamo in dono spontaneamente da altri la domanda di rito era “come si dice?”. Da lì il prematuro “azie” è diventato “grazie” una volta acquisita la pronuncia delle consonanti appiccicate, troppo strette per un palato sdentato. Ed è giusto così, l’educazione è il fattore vincente nella vita attraverso il quale sei rispettato e rispetti il prossimo. Poi però è come se la garbata accortezza del restituire una cortesia si trasformasse in una risposta automatica senz’anima e non ci facciamo più caso. Perché lo ripetiamo come una eco anche alle cose che ci sono dovute, per ostentare cordialità quando vorremmo cambiare i connotati altrui, al telefono quando le leggi delle conversazioni vocali impongono di tenere sempre il sorriso sulle labbra, pare che dall’altra parte faccia la differenza ma non chiedete a me se è vero, non lo so e non me ne accorgo ma prometto di provarci la prossima volta. Non parliamo poi dei dialoghi virtuali, è un tutto un grazie e prego via e-mail che poi non la finiresti più giusto per sfizio, perché non è il caso, non siamo uno di fronte all’altro, per me se mi mandi un messaggio di posta elettronica anche se c’è su il tuo nome potresti essere chiunque, anche un’entità dal mondo dei morti o un software che spedisce ringraziamenti a caso. Il cerchio si chiude quando la conversazione è imbevuta di formalità professionale, e quando rivolgi un ringraziamento dovuto il destinatario ti risponde con un “no, grazie a te” e tu rimani lì stupito perché pensi che cosa hai fatto per ritorcerti contro quella catena di smancerie superflue quando ci sono dinamiche e riporti a smascherarne l’inutilità. Ma questo è il gioco dei rimpalli, l’eterna partita a lanciarsi dall’uno o l’altro campo il primato della correttezza e l’allegato fattore svilente che questo comporta, uno strascico di convenzioni che ne annulla la portata rivoluzionaria. Liberarsi di un fardello. Restituire la fatica di ammettere la necessità altrui che ricerchiamo, pesante come una palla medica. Grazie per l’attenzione.

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