non siamo al ristorante

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Dovreste vederla la faccia di certi bimbi che quando li chiami che è pronta e si siedono a tavola e lì vedono la minestra nel piatto. In nessun altro cucciolo del genere animale gli occhi sono così dipendenti dall’apparato digerente, e l’effetto che fa quella poltiglia in varie tonalità del verde che sembra uno di quei laghetti vulcanici di montagna lì in mezzo al piatto fondo, solo un po’ più sfortunato perché non c’è il riflesso del cielo blu né di qualche vetta delle Dolomiti ma solo la delusione di non trovare nulla di solido, così poco arrendevole ai denti, dalla conformazione così incerta che sembra una spremuta di cavalletta. Questo nel brodo di verdura con i pezzettoni, ma se hai passato tutto con il minipimer il colpo di fulmine con il palato non scocca ugualmente e quella cosa che potrebbe essere anche una cioccolata calda ma del colore delle zucchine non li convince nemmeno se la ricopri con i crostini di pane perfettamente fatti a cubetti e abbrustoliti nel forno.

E la minestra che è così radicata nella storia del pensiero moderno tanto da essere l’oggetto di uno degli aut aut più comprensibili agli studenti di filosofia alle prese con Kierkegaard nella sua dicotomia insanabile con la finestra che poi non ho mai visto nessuno saltarla, tanto che ai bambini che mai li vorresti vedere volare giù il percorso di convincimento va impostato in modo graduale. Finché li reputi disponibili al dialogo inizi con le proprietà nutritive delle verdure, i motivi per cui i grandi le cucinano spesso perché fanno bene. Ed è questa banalità del bene che stenta ad essere assimilata meglio di una lasagna fumante o di una cotoletta, la stessa difficoltà con cui probabilmente si misurano i fotografi di cibo per rendere una zuppa qualsiasi così sexy da esser messa in copertina o, molto più spesso, sulla confezione di un prodotto per essere degna di scelta su uno scaffale con motivazioni diverse dalla percentuale di sconto dello stesso.

Ma il dialogo si chiude alle terza o quarta richiesta di ragionevolezza e l’adulto muove su un terreno che più gli si confà, che è quello della minaccia, dell’imposizione e del ricatto. Ed è così. Ad impugnare il cucchiaio colmo fino al bordo di brodaglia e puntarlo come una baionetta verso le bocche altrui siamo capaci tutti, basta una parola più severa ed ecco che apriti sesamo una bocca si spalanca, il contenuto si rovescia, le labbra si chiudono, le smorfie si compongono ma il peggio non è passato. Il contatto con gli organi dedicati al sapore è avvenuto. Solo che alla fine, purtroppo per noi adulti, si tratta di una vittoria di Pirro. Quanta di quella minestra resta inutilizzata sul campo, e, peggio, quanto è scesa la percentuale di fiducia dei nostri figli che non si capacitano del fatto che una figura chiave come un genitore voglia a tutti costi il loro male. E quanto cambia la percezione stessa del mondo dei grandi, pronti a negarti il dolce se non mangi il primo ma poi a scendere a compromessi dopo una blanda resistenza. Che bello, penseranno i nostri figli, si cresce e si possono mettere in atto a piacimento tecniche di estorsione, e per loro l’integrità sembrerà un ingrediente da usare secondo quantità, come il parmigiano grattato su quella roba verde che vogliono far loro passare per una tappa del percorso di crescita. Così, a fine pasto ma prima che si freddi, mi trovo spesso a raccogliere i resti di quella battaglia, e nulla mi toglie dalla testa che, per quanto buona possa essere, li fatto che la minestra poi da grandi piaccia a tutti è a malapena dimostrabile come una convenzione.

14 pensieri su “non siamo al ristorante

  1. A dire il vero la mia figliola la mangia sempre volentieri… ma guai al pezzettone dentro, tutto tritato. Sia mai, il pisello/fagiolo/ortaggio qualsiasi pescato ancora solido viene fiondato subito nel mio piatto

  2. Ahahaha che reminescenze! Io la minestra la mangiavo solo accompagnata dalla ‘storia del bambino che non voleva mangiare la minestra’, l’unica vera storia che mamma abbia mai inventato e riuscita, se non altro allo scopo, bisogna dire. Che nostalgia 🙂

  3. Non mi piaceva nulla, solo pasta in bianco. Ho sempre pensato che un figlio come me l’avrei ucciso, non era difficile essere meglio e mi sono risparmiato l’infanticidio.

  4. Ci hai fatto caso al fatto che poi all’estero, italiani e figli di italiani, sono perfettamente identificabili e riconoscibili? E questo anche senza aver sentito una loro parola, parla per loro il comportamento.

  5. C’entrava una mamma che piangeva disperata nel bosco perchè il pupo non voleva mangiare la minestra, e gli aghetti di un pino magico diventavano l’ingrediente segreto della brodaglia, da allora in poi irresistibile… L’originalità era ambito paterno, a casa mia 😀

  6. par condicio

    è anche una questione di parole….. i bimbi non si lasciano incantare da “vellutata”, “potage”… e altri inganni. e anche questo è un gran bello da tenersi stretto 🙂

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