prova a lanciare i dadi, qualcosa succederà

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Nessuno ha mai capito quali fossero le regole del gioco. La confezione era accogliente, nel senso che era così grande che faceva venir voglia di abitarci dentro e accompagnarsi alle pedine, che poi erano tra i più noti abitanti di Paperopoli. Il nome stesso, Mondo Papero, rappresentava l’idealizzazione di una realtà parallela in miniatura, quei luoghi minuscoli in cui i bambini si rifugiano perché di dimensioni meno dispersive rispetto alle case degli adulti. Ma il fatto di aver smarrito le istruzioni di quel regalo a nemmeno una settimana di distanza da Natale ne aveva interrotto la magia. Un codice delle meraviglie in potenza perché impossibile da decifrare, un pianeta apparentemente deserto in cui non era possibile percepire la forma in cui la vita si potesse manifestare, e il tutto a causa di un manuale di poche pagine gettato chissà dove per errore, ancora prima che qualcuno lo potesse leggere e assimilare. La funzione ludica di quell’ultimo scampolo di festività prima della ripresa della scuola era così unicamente svolta da una di quelle valigette in plastica bicolore, arancio e panna, che raccoglieva una serie di giochi piuttosto classici. Una mini-roulette con micro-fiches incluse, i bastoncini dello shangai, due mazzi di carte da gioco, il salto della pulce, forse anche il gioco dell’oca. Ma non era facile inventarsi un passatempo in solitudine con quel materiale pensato per gruppi di più persone, mentre con l’altro ero certo che, conoscendone le regole, sarei riuscito anche a inventarmi avversari immaginari con i quali trascorrere quei lunghi pomeriggi in bianco e nero. Così mi ero ritrovato alla mattina dell’Epifania, il cui rito indefinito, comparato alla madre di tutte le feste, ne metteva in evidenza i limiti, una domenica all’ennesima potenza e una sorta di festa di consolazione che assumeva tratti quasi pagani. Erano già diffuse le calze prêt-à-porter e riempite da qualche impianto industriale di dolciumi di seconda scelta. Monete di cioccolato, caramelle di dubbia provenienza, scarti di torrone impossibili da mordere, il tutto corredato da un paio di gadget da uovo di Pasqua. La serie di Mondo Papero e dei Giochi Riuniti si completò così con un portachiavi a semaforo e una lanterna cinese in miniatura, trovati in fondo alla confezione che avevo rinvenuto appesa al camino, lo stesso che era stato murato per via dei topi che da lì entravano in casa, e comunque in città nessuno acquistava più la legna per accendere il fuoco. E quell’anno poi la pausa natalizia si concluse con una gita pomeridiana al Santuario, una piccola frazione sull’appennino a pochi chilometri dal paese, che percorremmo in treno dato che non possedevamo l’automobile. La stazione era in alto mentre la chiesa che dava il nome al piccolo borgo era in valle, quindi la parte più impegnativa – la salita – era riservata al termine della visita. Io camminavo alternando nelle mani il portachiavi e la lanterna cinese, chiedendomi perché il freddo non fosse sufficiente a far scendere la neve e dare un senso almeno all’inverno.

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