è tutta una questione di collegamenti

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Mi ricordo di essere un maschio anche perché capita che mi ritorni la passione che hanno tutti gli ometti, l’influsso che suscitano i mezzi di trasporto e il loro funzionamento, la rappresentazione su carta dei percorsi di metro e tram e, più in generale, le mappe geografiche. La maggior parte dei bimbi ci sballano, inutile negarlo, come quello grande e grosso ma un po’ spostato – per questo faceva paura a tutti alle medie – che un giorno lo hanno trovato al volante di un autobus fermo al capolinea, malgrado non avesse nemmeno la patente del Ciao. Riguardo a me, chiedetelo ai miei colleghi di quante volte ho ideato campagne di comunicazione utilizzando la metafora della piantina delle linee sotterranee di Milano, la rossa, la verde e la gialla con i pallozzi più grandi in corrispondenza delle stazioni che nella mappa concettuale sono le milestone di un percorso ramificato. Lo so, è banale, ma proprio perché siamo cresciuti sognando trenini elettrici e piste in cui le auto potessero viaggiare da sole, senza il nostro intervento, in un mondo di automazione da motore immobile che poi, i più furbi, hanno idealizzato in una laurea utile in discipline matematiche. I meno opportunisti hanno proiettato quei spostamenti fisici sulle rotte della rappresentazione della realtà che, in quanto tale, non è credibile e non dà diritto a uno stipendio a fine mese.

Anche oggi mi sono trovato a fantasticare sulle linee colorate del sottosuolo, soprattutto in prossimità di quelle nuove, quelle in costruzione che hanno colori inauditi per chi è uso alla mobilità sotterranea. Il lillà tratteggiato che porta verso l’estremo nord e che estende esponenzialmente le possibilità e le combinazioni di mezzi a disposizione per raggiungere i posti desiderati e quelli impossibili. Come quella volta in cui avevo sognato un lungo viaggio in pullman per andare a trovare mia mamma in ufficio. Avevo preso quella che dalle mie parti si chiama ancora la “corriera” ed ero arrivato alla scuola nella cui segreteria era impiegata. L’avevo trovata giovanissima con me nella pancia, e hai voglia a spiegarle in sogno e con un abbonamento 24 corse in mano scaduto che ero suo figlio, quello che doveva ancora nascere. Non so se mi avesse creduto, ricordo solo che da quella notte poi avevo deciso di espropriare la porzione di vita dei miei genitori prima della mia nascita come qualcosa anche di mio. Avevo preso di nascosto una loro foto in bianco e nero, quella in cui sono stretti e appoggiati al terrazzo di casa di mia mamma, quella dove viveva prima di sposarsi. Mio padre tiene una sigaretta in mano ed entrambi sorridono a mio nonno che sta per scattare la foto.

Ma l’avevo sottratta a fin di bene. Avevo scoperto una ceramista o artista dell’argilla o di altri materiali che ora non ricordo, che realizzava chiamiamole sculture partendo da fotografie. Avevo pensato di regalare una rappresentazione in 3D di quella foto a mamma e papà per Natale – vi parlo di più di dieci anni fa, almeno quindici -, mi sembrava un’idea carina e originale. Ma il preventivo era di oltre duecentomila lire e, sapete com’è, ci avevo ripensato. Non che mi sembrasse un pensiero poco nobile. Così anche se ai tempi mi girava qualche extra in tasca alla fine decisi per doni più ordinari. Libri, cd, quel genere di cose. E pensate quindi fino a dove è in grado di condurre con il pensiero una linea della metro in costruzione, al momento solo rappresentata con un colore pastello su un prospetto. E arrivo a destinazione solo accorgendomi del motivo che mi ha portato a voltare le spalle alla realtà e a seguire quella inconsistente teoria suburbana. Sono solo un maschio misantropo che cerca rifugio nelle piante geografiche per sfuggire alla gente in attesa. Come tra un paio di decenni mi potrete vedere fermo, in piedi con le mani dietro la schiena, a contemplare scavi di edilizia urbana e lavori stradali. Cose che peraltro, non me ne vergogno, ho già l’istinto di fare adesso.

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