alone again

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È facile che chi da qualche anno spinge l’acceleratore del mercato sulla tecnologia touch screen, personale, professionale e multiutente, non abbia tenuto conto di fattori poco edificanti dal punto di vista del marketing di prodotto come l’untuosità della pelle, che è un sottoinsieme della discutibile igiene personale in quanto sapete quanto me che i pori sono i veri cani sciolti del nostro organismo. Cosa non esce e cosa non si raccoglie in quei punti di interscambio tra interno ed esterno è meglio non pensarci nemmeno, e puoi anche star lì a lavare e asciugare le mani nemmeno fossi uno dello staff di Grey’s Anatomy che alla prima ditata sul tuo tablet ecco l’impronta sebacea che è il vero elemento di identificazione in caso di dubbi sulla proprietà di un dispositivo. Peccato che nessuno abbia mai pensato a utilizzare non tanto l’epitelio del polpastrello, come fattore di riconoscimento nei sistemi di accesso fisico e regolamentato, quanto l’alone di schifezze che le nostre dita rilasciano a contatto con le superfici pulite. L’estate non a caso è una sorta di cartina di tornasole delle nostre secrezioni. Ti prepari per una lettura outdoor con il tuo iPad ma ecco che il riflesso non lascia scampo e se sei lì con qualcuno ti vergogni come quando prepari la tavola, hai ospiti, e le brutture opacizzanti lungo il vetro dei bicchieri tradiscono il peccato originale di essersi accontentati di una lavastoviglie entry-level di una marca nazionale destinata a sparire schiacciata dalla concorrenza orientale, acquistata nell’ennesimo megastore su suggerimento di un commesso precario passato dai contratti telefonici agli elettrodomestici senza passare dal via, anziché aver scelto una rigorosa tecnologia tedesca dando retta ai genitori anziani. Un acquisto da saldare a rate salate effettuato però con l’obiettivo di assicurarsi un investimento duraturo. Ci sono persone e sedicenti amici che te lo fanno notare se si vede che è tanto che non pulisci lo schermo, rende la lettura difficoltosa ma non ci sono scuse, perché qualcuno può avere ribrezzo a mettere le mani su quelle chiazze di non so che cosa. E tu vai a spiegargli che non è come sembra, hai una figlia piccola che mangia pane e marmellata e poi si mette a giocare con le app craccate, che hai due gatti che passano sopra a tutto senza distinguere a priori il valore di quello che calpestano, magari subito dopo aver espletato funzioni fisiologiche che, nel mondo dei felini domestici, si concludono con la copertura del prodotto raspando la sabbia della lettiera. Quindi vale il modo dire che la colpa non è proprio la tua e che quindi la gravità del danno è stemperata, che in questo momento mi sfugge, non è proprio mal comune mezzo gaudio ma qualcosa che ha a che fare con altro. E il tuo tablet che volevi sfoggiare come prodigio di innovazione touch screen viene messo all’indice (bella questa, eh? l’avete capita?). Alla fine preferisco usare il mio caro vecchio, anzi nuovo, laptop. Le dita le metti sulla tastiera, anche se non chiedetemi il perché ma il display si macchia lo stesso. Forse ci sono dei pori anche lì sopra. Vi lascio con il brano usato per il gioco di parole del titolo, sapete che ci tengo a fare il brillante (bella anche questa, dài).

7 pensieri su “alone again

  1. bellissime tutt’e due, davvero! a me questo brano ricorda una compagna di scuola che rimase incinta a furia di frequentare il cimitero! 😀 i miei figli, oltre che sull’icoso lasciano impronte anche sulle iporte e sugli iinfissi, con mia somma inca@@atura! 🙁 le impronte si rimuovono difficilmente – salvo che in caso di delitto ( bella anche questa, no? no, lo so… 🙁 ) ciao roberto, buona serata è un po’ che manco, vengo a recuperare domani…

  2. è presto detto. lella, estimatrice di alone again – naturally, tanto da meritarsi l’appellativo di iurilli naturilli, aveva all’epoca un fidanzato – poi diventato suo marito per ragioni, diremo così, ” tecniche ” – inviso ai genitori della stessa perché non appartenente al medesimo ceto sociale. i genitori, con i risicati mezzi a disposizione, impedivano la frequentazione e il suo papà accompagnava a scuola, ogni santissimo giorno, la mia compagna di scuola. lei, nel lasso di tempo in cui scendeva dalla macchina paterna e doveva aspettare il suono della campanella, per entrare con noi in classe, saliva su un’altra macchina, quella del fidanzato. con lui si recava verso il cimitero, luogo ameno e appartato, pochissimo distante dalla nostra scuola – eravamo molto in periferia – dove in men che non si dica consumavano il consumabile. poi lei arrivava a scuola con il volto in fiamme, fino alla orecchie, felice e incinta. per me o’sullivan è rimasto un inquietante portatore di bebè! 😀

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