l’ombrellone, nel senso del film

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Nessuno riconosce subito lo scrittore perché gli scrittori non si riconoscono di faccia, mica come i campioni del pallone e le star della tv che di sicuro, comunque, uno non bazzicano da queste parti battute per lo più dalle persone normali, due non sempre è possibile perché visti da vicino e seminudi, nel senso dei costumi da bagno, vi sfido a riconoscere tizio e caio. Anche chi sei abituato a vedere vestito in ufficio o al bar per il caffé prima di entrare al lavoro, con addosso uno di quei terribili slip da bagno o con un due pezzi fluorescente quanto le vene varicose all’inizio fai un po’ di fatica, a dimostrazione della diceria biblica che poi al giudizio universale siamo tutti senza indumenti e, di conseguenza, praticamente irriconoscibili. Figurati poi uno che già non se lo caga nessuno perché esponente di un’arte inferiore come la scrittura e, di conseguenza la lettura, che ai tempi dei quiz e talent show gode della stessa considerazione dell’opinione pubblica quanto, sul fronte dello studio comparato delle professioni, l’insegnante della scuola. Perché anche un Moccia o un Baricco li riconoscete solo perché fanno le comparsate dalle varie bignardi del caso, presentatrici che un giorno introducono i partecipanti alla casa del Grande Fratello e poi le ritrovi a spendersi per la politica spettacolo di Renzi. Ma quelli un po’ più minori, che magari nemmeno la casa editrice anch’essa minore e fuori dal duopolio gli ha messo la foto in quarta di copertina perché privi della piacioneria di un Veronesi o un De Carlo, quelli proprio non li distingui dal tizio che gioca a racchettoni con il figlio adolescente o quell’altro che si instagramma i piedi sullo sfondo del mare mattutino. Nessuno lo riconosce perché poi non è che ti presenti al prossimo con nome e cognome, in un contesto di vacanza l’etichetta da riunione di lavoro la lasci nel cassetto insieme ai biglietti da visita che poi se o l’una o gli altri ti finiscono in acqua come ci torni a casa. Il nome poi è comune ma la faccia che fa mentre vede una nei pressi con il suo potenziale best seller sotto l’ombrellone che è la moglie di quello con cui sta parlando di pesca sportiva per rompere il ghiaccio mentre i figli insieme si lanciano il frisbee, ecco questo può essere un indizio che ti fa riconoscere uno scrittore. Così lo scrittore fa una battuta sulla possibilità che il libro non possa piacere alla donna, e di fare attenzione alle critiche negative perché poi lui ci rimane male, ma è tale l’emozione di trasmettere qualcosa anche per interposto mezzo come la carta stampata che proprio uno non ci riesce, non è certo per vantarsi ma per dire grazie per il tempo che mi stai dedicando e per quegli spiccioli che pagata la casa editrice, la distribuzione, dire fare baciare lettera e testamento mi consentono di offrire al prossimo che legge i miei libri un caffé al chiosco. E alla fine lo scrittore aggiunge il suo cognome al gruppo incredulo di persone e sotto lo sbigottimento dei più che non si tratta di un caso di omonimia, proprio loro abituati a guadagnarsi il pane con un negozio, un’impresa, uno stipendio fisso, una tassa evasa. La lettrice propone di sancire il momento con un autografo sotto il titolo e lo scrittore si schernisce promettendo che poi lo farà. E la scena, quando me l’hanno raccontata, mi ha ricordato un vecchio film con Enrico Maria Salerno nel ruolo del professionista, Sandra Milo in quello della moglie in vacanza senza il marito e Lelio Luttazzi, un letterato romantico che seduce la Milo con la lettura di poesie. Mica perché poi lo scrittore che è lì con moglie e figli fa breccia nei cuori altrui. Ma solo perché in un contesto così di persone in ferie, e la vita dello scrittore è più o meno quella di uno sempre in ferie, il gap è ancora più evidente. Almeno, se ne conoscessi uno mi troverei molto in imbarazzo per lui.

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