il blog e la rotazione delle colture

Standard

Da solo, nel silenzio del box della domenica pomeriggio, mi meraviglio del sistema di mensole che continuano a reggere il peso sproporzionato di cose che sono utili solo a metà. Un’architettura di accantonamento che non ho certo costruito io, considerando che il trapano proprio non fa per me, ma che vista così, in quel luogo che sembra pensato apposta per essere sporco e dimenticato, mi fa sorprendentemente assalire da quel brivido che è unico ed è quello che il genere umano prova esclusivamente in quello stato di solitudine totale di fronte a un progetto. Due cose prima di proseguire: deve trattarsi intanto di solitudine assoluta anche se temporanea, per lasciar scaturire tale sensazione. E poi non capisco quelli che piastrellano il pavimento del garage, che già è scandaloso dover acquistare una stanza pensata per un’automobile, figuriamoci poi ad accomodarla come una sala da pranzo. Ma non è questo il punto. Io che non sono un amante del fai-da-te, nell’assenza totale di suoni e rumori e con quel groppo di piacere che mi percorre dallo sterno all’inguine, riesco persino a capire il mio vicino che è in pensione a 58 anni e che nel box ci passa la sua vita.

Capisco anche mio padre, che curava un orto ma non come fanno tutti, l’orticello dato in gestione dal comune sotto il cavalcavia dell’autostrada che poi non oso immaginare il sapore della verdura, nel senso che è sicuramente roba a chilometro zero perché chi li cura va e viene in bici. Ma i chilometri sugli ortaggi sono tutti quelli delle auto e dei tir che passano sopra, quindi alla fine è meglio la grande distribuzione. No, mio padre aveva un orto in una zona di campagna vera su una collina vera a un’ora di viaggio da casa sua. Mio padre un giorno sì e uno no, una volta in pensione, prendeva la sua Lada Niva e andava a innaffiare, potare, raccogliere, sistemare. Tornava con verdura e prodotti per tutti, roba buona e sana. Un’esperienza che però non condivideva con nessuno. Sono certo che amasse recarsi da solo per trascorrere da solo un paio d’ore con il suo orto, ad affrontare e risolvere problemi senza nessuno intorno. E siccome lo conosco bene, posso immaginarmelo stare in piedi e godersi quel brivido di cui sopra, che non saprei definire ma magari ha un nome, fermo a guardare i settori dei campi coltivati ciascuno con vegetali differenti.

Di queste cose non ne abbiamo mai parlato, e tanto meno possiamo farlo ora visto che mio papà è in quell’età in cui confonde le cose e i discorsi, si ricorda solo pezzi e, spiace dirlo, ma dal punto di vista del dialogo non costituisce più un interlocutore autorevole né è costruttivo intrattenersi con lui. O meglio, io lo faccio giusto per rispetto, perché è mio padre e spero che un giorno anche mia figlia riesca ad essere indulgente con me sul fatto che sono diventato vecchio, che il cervello mi sta andando in pappa e che non posso più proteggerla come quando era piccola. Quindi di lui in piedi che osserva il suo orto godendosi la solitudine del momento ho solo un ricordo di quelli inventati, lo desumo da come rammento mio papà prima che diventasse troppo vecchio per qualunque cosa.

Comunque, e dovreste saperlo se avete un blog, ci sono strumenti per vedere quanti passano a leggere le proprie cose. Oggi stavo dando un’occhiata a questa parte visibile solo a me che in gergo si dice back-end, e mi sentivo piuttosto fiero non tanto perché ho un’audience da paura, perché altrimenti non avrei trascorso la domenica tra box, cantina e pc ma sarei andato alla Blogfest a ritirare il mio premio di miglior cialtrone del web. Voglio dire, io e il mio blog siamo come il mio vicino baby-pensionato con le sue mensole o mio padre con il suo orto, non ricaviamo un centesimo o un quarto d’ora di nulla dalle nostre passioni, ma le coltiviamo ugualmente e per anni, finché abbiamo le forze, finché ci funziona il trapano, finché ci vengono in mente cose da scrivere. Mi sono sorpreso invece perché mi sono accorto di guardare la home page di questo blog, quella che immagino abbiate davanti anche voi, proprio nello stesso modo in cui sono sicuro mio padre guardasse il suo orto. Con quel brivido che sale e scende e che te lo danno solo e unicamente la solitudine e il silenzio, di fronte a un qualcosa che cresce grazie a te, che poi magari lo racconti dopo, ma che in quel momento davvero non vorresti condividere con nessun altro.

11 pensieri su “il blog e la rotazione delle colture

  1. Roberto

    Il perpetuarsi delle azioni nel tempo da padre in figlio è qualcosa che ti legherà a lui in futuro, anche se nel tuo caso non è la medesima occupazione.
    Non è lo stesso orizzonte ma la medesima emozione che hai dentro di te.
    Io che come te sono negato con trapani e viti imbottiglio ora per mia madre il vino che acquista da Asti come faceva mio padre ora che lui non c’è più.
    Ti leggo anche io tra un treno e l’altro.
    Roberto

  2. Prima di aprire questo blog ne ho tenuto un altro, per sei anni, dal 2006. Lo conoscevano solo pochi amici, aveva 3 iscritti e i post non avevano like tranne in rarissimi casi (perchè nessuno li conosceva eh, mica perchè non fossero belli!;-). Ma io ho continuato a scrivere su quel blog per 7 anni e a guardare la mia home page, se non proprio allo stesso modo, in un modo credo molto simile.

  3. L’immagine di te con il tuo papà è infinitamente tenera, sai.
    E coltivare le proprie passioni da persone vere è un privilegio e una gioia, consente scambi e contatti umani, veri non fasulli.
    E secondo me è questo che conta, sempre.
    Un abbraccio grande a te!

  4. Io lo so, io lo so come si chiama la sensazione che provava il tuo papà: si chiama “essere vivo”, si chiama “questo l’ho fatto io”, si chiama “mi sto prendendo cura di voi”. Almeno così mi piace pensare.

  5. grazie, ci sono nel tuo commento molti aspetti che sarebbe bello approfondire: tua mamma che compra il vino ad Asti e tu che lo imbottigli, Asti e il vino, tuo padre che faceva lo stesso, leggere tra i treni, leggere tra i treni nell’astigiano, quei locali che qualche volta ho preso anche io e che sembrano non arrivare mai a destinazione e fermarsi a metà. Grazie per il tempo che mi dedichi.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.