generi sui generis

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Quella volta in cui ci siamo spinti fino a un posto in periferia che però per noi era il margine della città ma dall’altro senso, e solo perché servivano una cosa che chiamavano birra verde che non ricordo nemmeno che cosa fosse, probabilmente una birra corretta con qualche colorante artificiale ed è meglio non pensarci, ecco è stato allora che qualcuno mi ha fatto notare lì di fronte il grande ospedale dei bambini dove c’era già tuo padre che faceva il primario di radiologia. E di certo non sapevo che poi un giorno mi sarei trovato con lui a spruzzare l’anticrittogamico, o verderame come mi piace chiamarlo in onore di una canzone in cui si celebra quello come il colore dei capelli di uno dalle lacrime facili, sui radi filari di una casa con vista mozzafiato sul più celebre dei borghi marinari di levante. Che poi poteva essere un rischio farlo fare a me, che in quanto a goffaggine in ambito bucolico/agreste non mi batte nessuno soprattutto se costretto a lavorare nei pressi di una montagna di compost e di tutta la puzza che esce inutilmente dal recipiente e tutti gli insetti che attira. Ma ce l’eravamo cavata alla grande, e avevamo ripetuto il successo quando, parcheggiando troppo a ridosso di un marciapiede tagliente, era scoppiata la gomma davanti, e mentre tua moglie – mia suocera temporanea – e tua figlia – mia fidanzata temporanea – si erano date da fare per cercare rinforzi più tradizionalmente identificabili come appartenenti al genere maschio aggiusta-tutto, con un cric e due chiavi avevamo smontato la ruota e messo su quella di scorta, tra l’altro mentre faceva buio, i negozi stavano per chiudere, c’erano ancora tante cose da fare e non era detto che in quel vicolo il carro attrezzi sarebbe riuscito a intervenire. E ho trovato ingiusto che, in quel gineceo che era casa tua, ti avessero segregato in un bagno per soli uomini, e il solo uomo eri tu, dove probabilmente ti erano permesse cose da maschio anziano come fare la doccia appena sveglio alle quattro del mattino, lasciare le salviette arrotolate, non preoccuparti dei peli della barba sul ripiano umidiccio del porta-spazzolino. Anche io da poco ho perso il mio papà, poi oggi ho scoperto che anche tu te ne sei andato lo scorso settembre, tu che sei stato un capofamiglia anche se come tutti gli uomini non ti era riconosciuta nessuna autorità. Avevi alcune cose in comune con mio padre, a partire dall’orto e l’amore per la riflessione che coltivare un orto consente. Il rifugiarsi in solitario con quel compromesso di natura controllata, a due passi dalla via di casa dove l’unica complessità risiede nello scegliere gli orari di rientro per evitare la coda. Questa coincidenza di eventi per nulla spontanea, ci sono una decina di mesi tra un lutto e un altro, è puramente una forzatura narrativa, visto che non ci siamo mai più sentiti ma così magari qualcuno che ci conosce entrambi le fa leggere queste due righe e le porta i miei saluti di cordoglio.

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