zero punto zero, ovvero la vita prima di Internet

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E voi, la vita prima della rivoluzione Internet ve la ricordate? Quella in cui era tutto sulle nostre spalle a partire dalla responsabilità delle opinioni perché non c’era nessun modo per esprimersi senza metterci la faccia fino alle telefonate fatte alle ragazze, con la speranza che nessuno rispondesse al loro posto, tanto meno il padre. Federica, per esempio, aveva il papà maresciallo dei Carabinieri, e quando sentivo la sua voce buttavo giù. La madre di Tiziana, invece, che aveva scoperto la nostra tresca sul nascere, mi aveva detto chiaramente che non voleva che la figlia intrecciasse relazioni con tipi come me, tutti vestiti di nero con la cresta cotonata. Ma non è solo questo. Che cosa facevamo prima? Con cosa impiegavamo tutto il nostro tempo libero prima di diventare tutti blogger, grafici, battutisti di twitteratura o commentatori dell’attualità? Che cosa ce ne facevamo di tutta questa libertà dalle schiavitù digitali e di tutta questa privacy? Potremmo chiudere qui con una bella generalizzazione, dicendo cioè che ci siamo dimostrati omuncoli della peggior specie se abbiamo dimostrato in fondo che non aspettavamo altro che dei sistemi di intrattenimento statici audiovisivi e più o meno gratuiti per gettare alle ortiche secoli di arti e mestieri e abilità varie. Quanto parliamo di meno, per esempio. E non ditemi che la messaggistica istantanea e i social network permettono invece di mantenere rapporti remoti altrimenti impossibili da coltivare. Vero, ma non era questo il punto. Ditemi: quanto parliamo di meno? Tra di noi. Quanto ci confidiamo di meno, quanto cerchiamo dentro le cose che fanno divertire, quanto riusciamo a inventare per stupire il prossimo esaminandoci nell’intimo. Non ne faccio un metro di giudizio etico, né sto dicendo che la cosa mi piaccia di meno o di più o preferisco oggi a ieri o viceversa. Parliamo di meno perché il significato orale si discosta troppo dalla rappresentazione grafica e visuale, e a causa della frustrazione di non poter emettere una proposizione fatta e finita simultaneamente con un tasto invio che ci dia la consapevolezza del suo insieme, ma dovendoci esprimere parola per parola e sillaba per sillaba, con tutto l’andamento temporale che ne deriva così monodico nell’era del multitasking, inconsciamente facciamo un passo indietro e tentiamo un gesto, un escamotage, un imprevisto o un link stesso a un contenuto multimediale a potenziare la debolezza delle parole pronunciate, a cui non siamo più abituati. Ecco, ditemi voi: com’era la vostra vita prima di Internet?

12 pensieri su “zero punto zero, ovvero la vita prima di Internet

  1. Avevo un blog, prima di internet. Solo che non si chiamava blog. Si chiamava diario. Non lo leggeva nessuno e i pensieri complessi erano ridotti a semplici frasi, citazioni e foglietti appiccicati sulle pagine.

    Avevo una rubrica di carta con numeri e indirizzi scritti a mano. Come oggi quella di thunderbird, ma senza indirizzo mail.

    Spedivo tante cartoline. Oggi solo mia figlia si lancia in questa pratica temeraria.

    Prima della TUT ricordo telefonate chilometriche (stessa area, 200 lire e parlavi quanto volevi) con compagni di classe per fare i compiti insieme via telefono e tanto cazzeggio, ovviamente. Senza skype, senza auricolare (ricordo i tentativi di costruirmene uno con delle cuffie stereo e un microfono), senza uotsap. Torcicollo garantito.

    Ricordo i gettoni e la cabina davanti alla quale passavo tutti i giorni per andare a scuola ed era irresistibile controllare che qualcuno non avesse dimenticato un resto.

    Ricordo la mia compagna di classe in america, a Cuba e poi negli USA. Per scriverci (non eravamo amanti, ma solo amici) usavamo le lettere di carta e fra una lettera e l’altra passava un mese. Il cazzeggio, sempre presente, assumeva altri contorni e un altro sapore.

    Senza Internet ho imparato a leggere le cartine, a consultare le enciclopedie, a registrarmi la mia TV preferita su VHS.

    La pirateria dei libri si faceva a suon di pomeriggi passati a respirare ozono delle fotocopiatrici.

    Per copiare i compiti dovevi vederti di persona.

    La macchina da scrivere non aveva il backspace e nemmeno il tasto canc.

    Avevo meno di 26 anni.

  2. Io credo che la mia vita prima dell’internet non fosse tanto diversa da come è ora perché io mantengo intatto il desiderio di parlare, di guardare in faccia le persone, di mettere su un piano di realtà ciò che parte dal virtuale. Ci provo ogni volta che posso, non sempre è possibile ma io ci provo.
    Il web può essere un mezzo meraviglioso per farti entrare in contatto con persone e situazioni che diversamente sarebbe difficile incrociare, l’importante è comunque rimanere cio che si è e se lo si fa diventa più semplice riconoscersi.
    Forse ho scritto delle banalità, eh?
    Comunque prima dell’Internet c’era anche quella faccenda delle telefonate della quale parli all’inizio del post, per i ragazzi di adesso è proprio tutto diverso, vero?
    Ciao Plus, buona giornata!

  3. parto dal fondo:

    – ho avuto 26 anni anch’io ed era il 1993
    – copiare i compiti talvolta era una scusa per vedere di persona ragazze interessanti
    – che casino in quelle cartolerie e che puzza, sono sempre stato imbranatissimo con il fronte-retro
    – la modernità ha reso superflua la cassetta fisica delle lettere
    – gettoni tanti e poi le schede e un trucchetto per telefonare a sbafo
    – tante telefonate nei posti telefonici pubblici, quelli con la cabine chiuse, così potevi toglierti dall’imbarazzo di far ascoltare le tue cose agli altri
    – cartoline ne spedivo poche, ne compravo tante, le dimenticavo tutte
    – agende ogni anno su cui trascrivere ogni volta gli indirizzi e i numeri, e la soddisfazione di lasciarne alcuni diventati desueti
    – il diario coincideva con l’agenda, le ho conservate tutte

    Grazie

  4. Non è banale, io lo sai sono un modernista convinto purché non ci vada il cervello in pappa. Ne abbiamo già parlato, ma le telefonate non sono più quelle di una volta, secondo me.

  5. Io vedevo più gente, parlavo di più, uscivo di più, leggevo più letteratura e meno cazzate, ascoltavo dischi con i testi davanti al naso, perché mi pareva che fossero molto belli (non lo erano così tanto, va detto…) telefonavo alle ragazze dalle cabine publiche di Savona, con i renziani gettoni, perché il telefono di casa era sistemato in modo che i miei genitori ascoltavano tutto; e da dentro le cabine dicevo “ti amo”; però scrivevo di meno, leggevo meno cose scritte da chi non è scrittore ed è invece come me (come te) (a volte è un bene, altre volte un male), capivo di meno della realtà (perché la facevo troppo coincidere con quella alla portata della mia vista e nient’altro), leggevo troppi giornali, credevo troppo ai giornalisti, guardavo troppo dalla finestra, guardavo anche più televisione (che è un male), ero più giovane ed ero più bello. Non so cosa sia meglio, davvero.

  6. La gente aveva più dignità di essere vista perché, come noi, non usava Internet, quindi come noi leggeva più letteratura e meno cazzate eccetera eccetera. Non sono d’accordo sulla realtà, nel senso che non credo che la pluralità di fonti aumenti a dismisura i confini della conoscenza, diciamo che scoperchia zone prima fuori dal campo visivo ma poi la realtà è sempre una, cioè si aprono zone periferiche e discariche e quindi comunque poi le aree circoscritte da cui attingere alla fine sono sempre quelle dei giornalisti e della finestra. Sulla gioventù e sulla bellezza (relativa) mi vien da piangere, come sulle cabine di Savona che se ci fossero ancora sarebbero pregne dei nostri sospiri sentimentali.

  7. Grafomane lo ero anche prima: fa testo la collezione di diari personali 1981-2004 (anche se, per amor di verità, gli ultimi 4 anni sono su floppy disk perché digitare fa meno fatica che scrivere a mano). Io mi chiedo invece quanto tempo in meno avrei perso e quanta inutile sofferenza mi sarei risparmiato se quelle estati di lontananza coatta io avessi avuto facilità di accesso alla vita delle ragazzine di cui al tempo ero infatuato; quanta maggiore facilità sia nel dire ‘ti amo’ che ‘non ti amo più’. Per il resto non credo che ci sia molta differenza: gli amici erano pochi allora e son pochi adesso, e con gli altri parlavo poco anche senza internet di mezzo. Mi sembra invece un miracolo rendermi conto non solo che sono connesso con tutti quelli più cari in tempo reale, ma anche che senza internet non avrei mai saputo nulla di te, dello Scorfano e di tutti gli altri affetti di tastiera che questi ultimi anni mi hanno donato. Il che, scusa, di questi tempi non è poco (che certe volte, va detto, comunichi meglio e di più in rete, con uno mai visto di persona, che nella vita reale, con gente che vedi tutti i giorni).

  8. La prossimità virtuale con sconosciuti tra virgolette è un sentimento mai visto prima e sul quale vedremo quanto siamo stati pronti o no. Vale comunque quanto succede nella vita pre-internet: la parentela o la conoscenza profonda di qualcuno non è scontato che generino attaccamento, o addirittura affetto. Sì, c’è del miracoloso. Ora non ci resta che seguire come sarà l’educazione sentimentale delle nuove generazioni che nascono già digitali nel modo di intendere anche il primo livello basic di un rapporto di amicizia.

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