la vita al netto dei filtri di Instagram

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Dice di noi più una foto che millemila parole, sostengono i luoghi comuni, ma lasciatevi servire che un po’ me ne intendo che mica è vero. Se siamo disabituati a leggerci e a descriverci ciò non toglie che non facciamo più caso alle righe e alle parole nascoste tra di esse, che sovente sono anche più esplicite. Il guaio è che nelle conversazioni e nei soliloqui è difficile applicare gli effetti speciali che ne esaltano il significato, bisogna impegnarsi un po’ di più, metterci la testa, capire, e ci sta pure un sano fraintendimento perché il confrontarsi con la voce o con la penna (per modo di dire) è così. Ti capita una frase di senso compiuto e la tua attenzione coglie a fondo solo quello che vorresti ci fosse scritto, magari il sostantivo protagonista dei tuoi sogni in quel tuo momento storico e da lì non ti smuovi. Poi ti chiamano per tutti i chiarimenti e tu cadi dal pero. Avete presente, vero, quelli che ti scrivono una e-mail e poi ti telefonano per dirti che ti hanno mandato una e-mail e te ne raccontano per filo e per segno il contenuto? Si tratta di un caso di cross-media pure questo o è un banale esempio di mancato controllo delle proprie ansie? Ma è valido anche il processo inverso: mandi una e-mail a qualcuno anticipando che a breve lo chiamerai, e lasciatemi dire che così ha più senso, io lo faccio sempre perché la posta elettronica è meno invasiva e uno può leggersela anche se è a casa in mutande, non fa nessun tipo di squillo quindi non si corre il rischio di svegliare il destinatario, è impossibile disturbare la gente quando è a tavola. Le foto invece parlano chiaro e anche troppo, nei frequenti casi di sovraesposizione artistica per gli effetti vintage che vanno tanto di moda. Ma nessun filtro anni 70 è così potente da ricostruire ambienti che c’erano allora e che oggi hanno lasciato il posto a qualcosa di sicuramente più utile ma molto meno gradevole. Vedete questo enorme megastore bianco di articoli da ufficio in fondo a questa piccola strada a ridosso della ferrovia? Lì c’era un cinema, uno dei tanti che hanno ceduto il passo alla modernità e al business, che ancora prima era un teatro parrocchiale. In quella sala, che faceva per lo più spettacoli pomeridiani per ragazzi e bambini, ho visto pochissimi film, e a dir la verità ne ricordo solo due: No nukes, il film-concerto del 1980, e una pellicola dedicata ai Kiss di cui non ricordo il titolo e a dir la verità nemmeno la trama. C’era Sara seduta al mio fianco che sembrava aver fatto il bagno in uno dei profumi più di moda di allora e a me, a parte quello, non mi importava di nient’altro.

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