margherita adesso è mia

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Non so come butta nelle vostre città, ma Milano è spaccata in due e, come in altri campi della società contemporanea, siamo approdati pericolosamente a un bipolarismo senza mezze misure. Dopo anni di pizze impastate, cotte e servite da cinesi e kebabbari – e qui potete capire che per una volta tanto su questo spazio trattiamo di argomenti scottanti – con quella pasta rasoterra, lo strato di finta mozzarella sbruciacchiata e la passata con quel retrogusto di pomodori coltivati da terra dei fuochi, si è creato un vuoto nella destra gastronomica locale di cui ne hanno approfittato numerose sedicenti pizzerie originali napoletane dai nomi oltremodo evocativi. Se ne trova una in ogni angolo e sono tutte accomunate da un arredamento molto all’avanguardia, piuttosto stiloso, tinte che richiamano i colori della tradizione della pietanza che da sempre rappresenta l’Italia nel mondo ed è la sua bandiera: il verde del basilico, il bianco della bufala, il rosso della polpa. Poi i materiali della terra, del lavoro, della moda, del made in Italy che in qualche modo è una miscela di tradizione e innovazione, questa rima di cui si riempiono la bocca tutti e che non vuol dire un cazzo. Per questo vi consiglio di provare una di queste pizzerie in cui le pizze sono veraci e proprio come le fanno a Napoli, con quella pasta tutta gonfia e collosa e in mille varianti saporitissime. Ma non sono solo gli ingredienti che probabilmente in tutti questi locali dai nomi evocativi della terra del Vesuvio li fanno arrivare tutti da lì proprio per offrire ai milanesi un prodotto il più diciamo filologico possibile. Il personale, i gestori, i camerieri e ovviamente i pizzaioli sono tutti rigorosamente napoletani o comunque sfoggiano un accento che non lascia dubbi. L’aspetto che ha dell’incredibile è quindi sia la quantità di queste pizzerie, la mole di avventori che richiamano a sera e a mezzogiorno con i menu pizza a 7 euro, le tonnellate di ingredienti che vengono impiegate a ogni pasto, il numero di gente dal sud che occupano. C’è chi si chiede, infine, tra un boccone e l’altro e quasi mai qualcuno riesce a finire la pizza che ha nel piatto tanto è sostanziosa, dicevo che c’è chi si chiede quanta imprenditoria ci sia che ha i mezzi e tutte queste intuizioni per essere riuscita ad occupare lo spazio della pizza come si deve che era lasciato incustodito per anni a Milano, forse al nord, forse in tutta Italia, chissà. Qualche maligno tira in ballo persino la criminalità organizzata e il riciclo di denaro sporco, ma io non ci credo e anzi, dai pizzaioli kebabbari che la fanno sottile e approssimativa e pure cotta nei forni non a legna non ci vado più.

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