mettevi comodi perché ora vi spiego che cos’è l’arte

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Quello che ci accomuna a Isabella è che siamo privilegiati nel lavoro che facciamo. Noi ci mettiamo in posa con il cantante al centro e lei pure, di fronte a noi con la sua reflex puntata mentre ci chiede di metterci così e cosà, guarda qui o guardate là, più sciolti o meno sorridenti perché comunque dovremmo lasciar intendere che siamo dei tipi tutt’altro che semplici. Il tutto in un orario in cui quelli della nostra età sono in ufficio a prendere ordini da tutti, sono in pochi i privilegiati che al lavoro si godono la luce in tarda mattinata come noi. Isabella è davvero bella come dice il suffisso del suo nome, e qualcuno viene ripreso perché anziché seguire le sue direttive si fissa su alcuni dettagli del suo viso o del suo corpo e non ci facciamo certo una figura decorosa. Il set è manco a dirlo una fabbrica abbandonata e semi-distrutta ma ci è stato detto di vestirci come ci pare, l’archeologia industriale tira di brutto e noi mica siamo una boyband. Anzi, siamo l’ultima ruota del carro di una major e spesso ci diciamo che preferiremmo essere invece il gruppo di punta di una etichetta indipendente, tanto non ci sarebbero soldi ugualmente ma almeno conteremmo qualcosa. Anche Isabella, se è stata mandata fino qui da noi, non dev’essere la fotografa ufficiale della rivista di lifestyle su cui finirà l’articolo che ci riguarda. A pranzo fa un po’ di storie così capiamo che dovremo pagare noi anche la sua parte e in un frangente come quello la cavalleria o comunque la buona educazione subentra su qualsiasi dinamica aziendale. I maschi pagano alle femmine e, considerando che già sappiamo che a nessuno verrà rimborsata nemmeno una lira, dividiamo il conto per cinque anziché per sei. Quello che dovrebbe essere il nostro manager se l’è svignata in tempo in modo da non dover metter mano al portafogli ma chi se ne importa, siamo privilegiati nel lavoro che facciamo. Io non ho molta fame, mentre mi recavo sul set ci ho dato dentro con due etti di focaccia, anche quella me la sono pagata io. E quando la produzione ci fa avere i provini delle foto di Isabella, che hanno anche previsto dei primi piani a tutti, vedo un residuo di quella colazione sulla barba sotto il mento. Una briciola di focaccia bella grossa incastrata tra i peli neri tendenti al rossiccio. Isabella prima di scattarmi quella foto non mi ha detto niente o non l’ha notata, del resto nessuno si è specchiato prima o mica c’è stata una sessione di make-up, oltre a essere superfluo per un gruppo di base non c’era abbastanza budget ma non fa nulla, siamo privilegiati nel lavoro che facciamo. Ma il problema è proprio nella definizione della nostra attività perché, a pensarci bene, né noi né Isabella abbiamo una busta paga, nessuno ci versa i contributi, dipendiamo in continuazione dagli umori di altre persone che nel nostro ambiente sono pessime. Qualcuno ti può estromettere dal lavoro a proprio piacimento, quindi alla fine anche se crediamo di essere privilegiati nel lavoro che facciamo non si tratta di un lavoro ma di una passione qualsiasi, come assemblare modellini in legno di navi o coltivare bonsai o, come si diceva un tempo, si tratta di “una forma di esistenza illecita e lesiva della pubblica morale e produttività, in cui si creano le condizioni per un assenteismo che sottrae energie preziose all’economia”.

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