settimo: non rubare

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L’uomo si sposta per andare a prendersi le cose di cui ha bisogno dove ci sono, credo questo sia uno dei paradigmi che dai tempi della scoperta del fuoco ci hanno permesso di arrivare fino qui in sei miliardi e rotti quanti siamo, vivi e vegeti (a rotazione) e ciascuno sulla sua fetta di terra – eventualmente anche soppalcata considerando la densità demografica di certi posti – trafitto da un raggio di sole. Un principio alla base della migrazione a cui si risponde, se si vuole essere accoglienti come si deve, prendi pure dove vuoi basta che paghi. Se vieni qui per rubare – cose, persone, donne, posti di lavoro o anche opportunità perché meriti più di noi – lasciati aiutare a casa tua, magari con qualche arma intelligente di distruzione di massa.

Su un piano più pacifico ci sono invece quelli che si spostano proprio con l’obiettivo di prendersi le cose di cui magari non hanno proprio bisogno ma gli piacciono, e dove vivono non ci sono, quindi sono disposti a mettere mano al portafogli per soddisfare quegli sfizi. In questo contesto è da secoli che esiste l’industria del turismo e del marketing ad esso collaterale che è quella cosa che ai tempi del commercio globale ti fa sembrare tutto genuino e come se l’avesse fatto tua nonna con le sue mani, un di cui di quell’incommensurabile mercato che è la circolazione degli uomini e delle merci. Sapete tutti, immagino, la storia di zio Piccoli che a un pastore in un posto a non so quanti metri di altezza ha chiesto, dopo un assaggio, se avesse del formaggio da vendergli. Come no, gli ha detto il pastore, e gli ha mollato una toma piemontese da non so quante migliaia di lire al chilo che nemmeno da Eataly, solo che ai tempi – fine anni 70 – non esistevano ancora gli agriturismi e i gruppi di acquisto solidale ma non per questo chi viveva con il frutto del proprio lavoro nella fattoria era più sprovveduto di uno di città.

Cose che succedono, giusto? Vai a Bologna e devi per forza comprare i tortellini fatti a mano per i quali ti chiedono 35 euro al chilo che è pure un prezzo onesto, e tu per non fare quello col braccino corto ne prendi un chilo abbondante per far vedere al produttore/negoziante che per la genuinità non badi a spese. Io sono del partito di quelli che non è vero che non serve spostarsi per trovare se stessi, e che noi siamo sempre noi stessi ovunque. Il protagonista dell’episodio di Bologna e dei tortellini a 35 euro al chilo lo conosco benissimo perché è dentro di me ed è lo stesso che poi, a cena in posto tipico dei colli intorno, ha fatto il furbetto e alzandosi da tavola per pagare ha rubato tre tigelle avanzate nel tavolo degli avventori a fianco, una coppia di ragazzini che se n’era appena andata lasciando tutto quel ben di dio. Non rubare, dicevamo prima, ed è pure un peccato mortale. Ma con il cibo che altrimenti finirebbe nella spazzatura ci è concesso oppure no?

Comunque, se volete sapere come è andata a finire, mia moglie si è dimenticata prima di coricarsi quelle tigelle nella borsa anziché riporle in frigo, e poco fa al risveglio ho scoperto che i gatti stanotte, con quelle tigelle, hanno fatto festa. Era destino che non le mangiassi, oppure qualcuno ha voluto punirmi. Ma se c’è una divinità ed è un felino, credo di avere più punti karma io che tutte le vostre tessere dell’Esselunga messe insieme, e mi aspetta un aldilà sereno come non potete nemmeno immaginare, in cui il furto di cibo avvicina lo spirito più di ogni altra cosa alla santità.

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