cosa fare quando vi cola il rimmel

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Quando sbarcavo il lunario con il pianobar uno dei miei divertimenti preferiti era infilare richiami ad altri pezzi nelle canzoni che suonavo, questo perché la maggior parte delle canzoni che ero costretto a suonare non mi piacevano, mi sentivo offeso nella mia dimensione artistica, quindi esercitavo il mio diritto di rivalsa con delle citazioni più o meno colte o comunque acute sapendo che nessuno le avrebbe colte (o comunque acute, questa l’avete capita?). Un classico era suonare il tema di chitarra di “Boys don’t cry” dei The Cure sulla parte di pianoforte di “Rimmel” di Francesco De Gregori, la sequenza armonica è la stessa e ci sta a pennello. Questo però non è servito a tenermi lontano la nausea per “Rimmel”. Gran pezzo, ma se lo suoni tutte le sere dopo un po’ rompe ampiamente i maroni. Ed è proprio dai tempi del mash-up con “Boys don’t cry” dei The Cure che cerco di de-costruire “Rimmel” in tutti i modi che posso, se non di distruggerlo. So benissimo di non avere nessuna speranza di vincere questa sorta di guerra psicologica, ma per me impegnarmi nel rovinare la reputazione a “Rimmel” ormai è una vera e propria mission. Oggi l’ho sentita alla radio in una versione live ancora più fastidiosa, in cui De Gregori cambia notevolmente la metrica delle parole sulla melodia impedendo persino a un hater come me di cantarla. Così mi sono soffermato sul testo per l’ennesima volta e, alla luce della contemporaneità digitale, ho riflettuto sul fatto che “Rimmel” è una delle canzoni dei cantautori italiani con il testo più superato. Non ci credete?

Ecco qualche esempio. “E qualcosa rimane, fra le pagine chiare e le pagine scure,” ma oggi con l’e-reader è impossibile che succeda ciò e, in genere, la de-materializzazione dei documenti rende superflua qualunque operazione di questo tipo. “E cancello il tuo nome dalla mia facciata”, Google comunque tiene traccia della cronologia di navigazione sia in locale che in cloud. “Ora le tue labbra puoi spedirle a un indirizzo nuovo”, basta aggiornare l’indirizzo e comunque con Amazon Prime è molto più conveniente. “E la mia faccia sovrapporla a quella di chissà chi altro”, oggi con Photoshop ci vuole un attimo e non c’è limite ai fotomontaggi che si possono fare. “O ancora i tuoi quattro assi, bada bene, di un colore solo, li puoi nascondere o giocare come vuoi”, non credo che Spider sia ancora tra i giochi di sistema di Windows e comunque due o più carte dello stesso numero e dello stesso seme non si possono incolonnare. “Se per caso avevo ancora quella foto in cui tu sorridevi e non guardavi”, chissà quanti selfie si farebbe oggi l’amata di De Gregori prima di mandargli quello giusto in cui sorride con gli occhi verso l’obiettivo. “Ed il vento passava sul tuo collo di pelliccia” ma scherziamo? Volete scatenare i nazi-animalisti sui social? “E quando io, senza capire, ho detto sì”, esiste il registro delle opposizioni in cui segnalare il proprio numero per evitare le scocciature dei call center che ti propongono contratti tranello.

Spero di avervi convinto. La poesia di canzoni come queste non ha tempo e spero di non avervela rovinata ma, vi prego, provate e mettervi nei miei panni.

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