D’estate fa caldo persino nelle storie che si scrivono. Risulta difficile immaginare dialoghi, trame, scene e situazioni senza l’afa, lo schiaffo in faccia che dà l’uscire dai posti in cui c’è l’aria condizionata al massimo, le chiazze di sudore sulle camicie. Le comparse che i protagonisti notano percorrendo le strade verso i luoghi in cui si svolgerà l’evento principale del romanzo sono tutte persone già vulnerabili che la temperatura rende completamente fuori di testa. C’è uno che sembra vestito da legione straniera ma scalzo che, con un rasoio usa e getta, si depila in una via del centro il ventre sollevando un lembo della camicia color kaki. Un altro, all’angolo della piazza sotto un residence così fitto di camere e relative finestre da sembrare uno di quei palazzoni che i nostalgici della DDR fotografano a spasso per Berlino, a torso nudo e in pantaloncini da ciclista si lancia in una danza da dressage intorno a una siepe e non ha nemmeno un cappello in testa per non aggravare le conseguenze del calore. Una gigantesca donna con le tipiche sembianze dell’est sonnecchia sdraiata su una panchina all’ombra nel parco con una busta di carta sull’addome colma di noccioli di ciliege. Non si riesce a descrivere una famiglia davanti alla tv di sera senza far loro guardare la replica di un programma musicale anni 70 con presentatori morti che annunciano la presenza di cantanti altrettanto morti. I colori pensati per stupire una società cresciuta nell’immaginario in bianco e nero ora si dilatano come tele dipinte ad acquarelli sotto la doccia e di fronte a tanta ingenuità mediatica non c’è nulla di più deprimente. Qualcuno spegne la tv nella storia e, fuori dal libro, si avverte lo stesso silenzio. Fuori si sono risolte persino le liti tra genitori e figli adolescenti e le relative urla a finestra spalancata, le auto sono tutte in coda verso le destinazioni del weekend, e persino nei blog non si respira. Ci vorrebbe qualcosa di fresco: io mi stappo una birra, se avete sete e ne volete una rivolgetevi al vostro autore.