Ieri qualcuno in rete ha tirato fuori la notizia che il primo di gennaio ha compiuto quarant’anni lo specchietto retrovisore sinistro, all’interno di una di quelle pratiche in auge e cose considerate informazioni da quando Internet o meglio Facebook rappresentano lo standard, da questo punto di vista. A me però questa rievocazione mi ha fatto piacere più di altre – i vent’anni dall’uscita del disco ics, i quindici anni dalla prima puntata del telefilm ipsilon, per dire – e mi sono lanciato subito a cercare un approfondimento che ho trovato qui. Ma da tutta questa storia mi sono rimasti soprattutto i commenti di coloro i quali si ricordavano di quell’optional diventato obbligatorio per motivi di sicurezza stradale. Altri hanno ancora in mente le reazioni dei loro papà a un’inutile, secondo loro e ai tempi, normativa.
A me però questa rievocazione mi ha fatto piacere più di altre, come dicevo su, perché mi ha permesso di ricordare che di quella novità per gli automobilisti io non ho nulla da dire e c’è un motivo, che poi è l’unica cosa che ho da dire, che in verità poi sono due e se arrivate in fondo a questo post mi darete ragione. Nel 1977, anno di introduzione, non avevamo la macchina e non vi so dire il motivo. Forse eravamo poveri ma con due genitori che lavoravano i conti non mi tornano. Mio padre era poi tornato a casa trionfante con una Ford Taunus marrone proprio l’anno dopo, dando fine a esperienze tipo noleggiare un pulmino con autista per portarci in vacanza tutti nella casa di campagna. Che stranezze viste da qui, vero?
Questa storia, a parte ai membri della mia famiglia ancora in vita, la conosce solo il mio ex collega Bruno, un programmatore che stava simpatico solo a me. Ha voluto che gliela raccontassi perché sostiene che lo specchietto retrovisore sinistro è l’unico in cui si piace oltre a quello nuovo del suo bagno. Per il resto nemmeno uno. Dice che a casa, nel suo specchio e con luci a cui è abituato, tutto sommato si accetta, ma fuori ovunque si rifletta secondo lui si perpetua l’effetto parrucchiere. Sostiene addirittura che il suo hair stylist di fiducia ha un sistema di realtà aumentata che nello specchio ti fa sembrare ancora più brutto di quello che sei. Quando ha condiviso questa sua convinzione ho cercato di indurlo a brevettare l’idea, ovviamente al contrario. Un sistema di filtri tipo Photoshop in tempo reale che ti aggiusta le cose che non vanno e ti fa sembrare un figo e, di conseguenza, fidelizza la clientela. Ma ormai i tempi sono cambiati e io lo so che un’app di questo tipo esisterà già da qualche parte. Una soluzione a come ci vediamo mentre ci tagliano i capelli dev’essere al top delle priorità dello sviluppo del genere umano, di cui lo specchio del barbiere risulta essere uno dei più spietati detrattori.
Un pensiero su “ecco perché non bisogna mai guardarsi indietro”