e poi all’eterno ci ho già pensato, è eterno anche un minuto

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Domenica tardo pomeriggio di metà luglio. Quartiere dormitorio della periferia di Milano, qualche villetta a schiera, caldo insopportabile ma cielo coperto con nessunissima possibilità di pioggia. Raro passaggio di automobili, qualche cane che abbaia, la sirena di un antifurto distante che svanisce nel nulla. A pochi isolati un litigio famigliare, si sente da qui perché i pochi rimasti in città hanno le finestre spalancate. Una bestemmia e poi silenzio, quindi da un punto imprecisato qualcuno mette “Dalla”, l’album di Lucio Dalla del 1980. Balla balla ballerino, Il parco della luna, La sera dei miracoli, Mambo, Meri Luis, Cara, Siamo dei, Futura, e poi tutto resta sospeso fino alla sera, fino all’autunno dopo, fino a una decisione definitiva, fino a un posto imprecisato in cui non c’è bisogno di desiderare altro, fino al fondo della strada dove c’è un oratorio deserto come nelle canzoni di Paolo Conte, fino alla fontanella rotta in cui un cane al guinzaglio si illude di trovare ristoro e poi tira il suo padrone per rientrare in casa al più presto, fino alla sera quando non si sa bene che cosa ci sarà da fare, con i bagliori della tv accese sui programmi del passato che smorzano gli effetti dell’aria condizionata e le giornate che hanno iniziato ad accorciarsi. Poi “Dalla” finisce, la cena è pronta, qualcosa ci si inventa.

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