un telefono vicino che vuol dire già aspettare

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Con la mezza età dicono che per i freni inibitori ci sono da cambiare le pastiglie e, in genere, quella depressione tutta maschile che esploderà poi da lì a poco si manifesta già attraverso sintomi facilmente identificabili. Il mix tra le due cose genera imbarazzi senza confronti. Ieri sera ho rischiato di piangere, e per fortuna che ero da solo, perché uno di quei programmi tipo rivediamoli insieme con cui RaiUno ammazza il tempo in attesa della nuova stagione era totalmente dedicato a Claudio Baglioni. Ho sentito uno stralcio di “Avrai” che è dell’82, uno dei miei anni tabù insieme ai cinque che lo anno preceduto, senza contare che la voce di Baglioni, anche se odiata, inevitabilmente in quel periodo capitava di sentirla, sbraitata con i suoi acuti, ogni santo giorno alla radio, in tv, riprodotta sullo stereo di parenti e amici, ed è maledettamente inscindibile da quella che sembra un’era geologica fa come (ne avevamo già parlato) quella di Dalla o anche – nostro malgrado – Lucio Battisti.

Ma non vorrei distrarvi dal nocciolo della questione: mi basta un programma in bianco e nero per mettere a confronto il prima e il dopo della vita, realizzare che quel mondo privato e pubblico non esiste più e attivare le ghiandole lacrimali nemmeno fossi un cane di Pavlov qualunque. Ieri l’altro ho persino solidarizzato con un’impiegata delle poste vessata da una cliente che esigeva la consegna di una raccomandata alle 19.00 di sera quando invece il sistema informatico ne consentiva la chiusura del processo solo a partire dalle 8.25 del mattino successivo. La signora è andata su tutte le furie ma la ragione era integralmente dalla parte operativa dello sportello. D’altronde l’informatica applicata ai servizi come quelli non si discute, nemmeno quando è caparbiamente incomprensibile. Alla fine è dovuta intervenire la responsabile dell’ufficio postale, fermamente allineata con la collega ma con il valore aggiunto di quel misto di autorità e di mani legate da questioni più grosse, con una spruzzata di savoir-faire. E non è tutto.

Mentre ero in attesa del turno, una procace quarantenne al mio fianco navigava la gallery del suo iCoso che era composta esclusivamente da suoi primi piani per giunta tutti uguali. O almeno io, da sconosciuto, li vedevo così. Magari invece per lei le piccole sfumature differenti di ogni selfie-fototessera avevano un motivo che li rendeva adatti per ogni occasione. Con la coda dell’occhio ho visto che ne ha scelto uno, uno dei tanti per me tutti uguali, ha imitato per un istante l’espressione della foto con il viso, espressione tale e quale a tutte le altre e praticamente identica a quella standard al di qua dello schermo, quindi ha impostato l’immagine profilo di un social le cui finalità non destano equivoci.

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