anche io vado al secondo piano

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Leggendo tra le righe delle storie di quello scrittore francese scomparso recentemente di cui mi sfugge il nome risulta evidente che, se avete superato i cinquanta e, ad oggi, ancora niente è andato per il verso giusto, viene spontaneo mettersi in punta di piedi e con la mano sulla fronte, come a riparare la vista dal sole, per capire se, all’orizzonte più o meno prossimo, si intravede la silhouette di una exit strategy dal proprio cammino. Lui sosteneva persino di uscire la mattina presto, come tutti, a portare la vita al guinzaglio a fare pipì, in tuta e con la prima sigaretta accesa in bocca, e osservare a malincuore i postumi della notte nei cocci delle bottiglie ingiustamente brutalizzate, nelle cartacce luccicanti degli snack sparpagliate sui marciapiedi a opera delle gazze che, in quanto a repulsione, sono seconde solo alle cornacchie, nella rugiada sui cofani delle automobili dei vicini acquistate di seconda mano dagli stock di flotte aziendali appartenute a qualche impresa fallita in malo modo, vittime come tante altre della confusione economica di tempi sfortunati come i nostri. Solitudine, rimpianti, smarrimento, Di Maio e Salvini, il senso di soffocamento causato dalla mancanza di ossigeno nel presente. Da quel momento, anche se si deve risalire con l’ascensore per rientrare a casa propria, è tutta discesa verso il peggio.

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