giochi d’acqua

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L’Internet è piena di tracce di gesti encomiabili perché la narrazione del reale, sul web, premia gli eccessi di bene e di male più di qualunque altro esistente mezzo di comunicazione. Non si sono sprecati i clic sulla notizia dell’attaccante della nazionale brasiliana che ha offerto a un suo giovane fan, uno dei milioni di bambini poveri nati e cresciuti nelle favela che ce la mettono tutta per diventare protagonisti di una delle favole a lieto fine dei grandi campioni del calcio mondiale, di scambiare i reciproci corpi per consentire al piccolo atleta di sparare il pallone alle spalle del portiere avversario nel rigore decisivo per la finale della coppa. Il bambino ha ammesso di non aver provato nessun timore trovandosi all’improvviso da solo di fronte al numero uno dell’altra squadra, al cospetto di decine di migliaia di tifosi sulle gradinate e a milioni di spettatori in tv. Ha calciato un sinistro potente e tutto il resto è venuto da sé.

Io me la sarei fatta sotto dalla paura ma non faccio testo. Sono dell’idea che saremmo molto più disinibiti nei panni degli altri e in pubblico se nella vita ci fossero le risate registrate come nelle sitcom della tv. D’altronde a chi non sembra di sentire palpabilissima la presenza dello scherno altrui, mascherato da divertimento, il giorno in cui rientriamo dalle vacanze. L’area antistante all’imbarco dei traghetti si allaga per la pioggia torrenziale in condizioni climatiche pensate affinché le nostre responsabilità ci aderiscano nel modo più ergonomico alla schiena in modo da farci sentire distintamente il fiato sul collo. Tutto questo mentre, a casa, i cespugli di peli di gatto arrotolati insieme alla polvere rotolano spinti dal vento pre-autunnale come in un western dal budget limitato per gli effetti speciali. Così ripensiamo al modo in cui, spavaldi e fiaccati dal gran caldo, abbiamo affrontato quel lontano ultimo giorno di luglio. Era il 31 e, da qualche parte, davano quella puntata di “Friends” in cui si sente “Untitled” degli Interpol.

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