una vita e tre quarti

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È una storia che incrocia l’esperienza all’aria aperta di certe vacanze che fanno i tedeschi e gli olandesi con il risultato di uno studio che dimostra che l’uomo è composto al cinquanta per cento da Joy Division e al restante cinquanta per cento da New Order. Ci sono corse infinite a cui non è possibile rinunciare per nulla al mondo e la bibliografia completa di una decina di autori nordamericani, letti in italiano perlopiù lungo estenuanti tragitti ferroviari. Qualche amico vero, di quelli che non si fanno vivi mai ma che poi, quando passano da lì, si riconoscono tali e quali a prima malgrado canizie e calvizie. Non mancano l’ossessione per la pizza e quella per la birra, sempre e comunque. È facile trovare nella trama i richiami all’infanzia e dei bambini con cui l’autore è entrato in contatto: dapprima coetanei, poi figli, quindi alunni. Ci sono infatti un insegnante e un direttore creativo che collaborano per costruire un progetto ambizioso in cui diverse discipline si fondono per tornare a un archetipo di conoscenza, di comportamento, di capacità di adattamento, di progettualità e di relazione interpersonale. Un ambiente accogliente, teatro di una bella fetta di trama, e un intricato sistema di paure intrecciate sino ad essere indistinguibili l’una dall’altra. La testa, poi, è una cassa preamplificata da cui ritmi ossessivi mettono a tempo parole, calembour, parodie, rime, rivisitazioni, cose apprese da altri, mantra ancestrali che si rinnovano da tempi antichissimi. C’è un carillon, un giradischi di valore, un puzzle di un elefante multicolore, un archivio dettagliato di oggetti obsoleti da cui però è vietato separarsi. Confusione politica, certezze sugli affetti, difficoltà decisionale, passione per la frutta, sete costante, scomodità ricorrente e presbiopia senile. Poi inizia la seconda parte.

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