a lezione di dispiacere

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La cosa che invidio di più alle mie colleghe è quella magia di riuscire a rendere ogni argomento in una favola e che con i bambini di prima si rivela sempre una strategia vincente. Ne ho una che insegna inglese e che indossa un mantello da streghetta per trasmettere il messaggio che, quando si trasforma in questa specie di sé aumentato, la nuova identità comporta anche l’esprimersi in una lingua diversa. La sua classe immagino si diverta molto più della mia, verso la quale semplicemente sposto in basso di qualche tacca il registro didattico, ci infilo una sfilza di trovate (che almeno io reputo) appassionanti ma poi, vedila come vuoi, c’è sempre un insegnante che fa la paternale a dei mocciosi con l’obiettivo di adultizzarli.

Anche il caso della musica può farvi capire la dinamica: in genere in prima è tutto un zecchino d’oro, per non parlare di chi tenta approcci alla musica classica con Ludovico Einaudi e Giovanni Allevi come terapia di relax durante le attività, roba che solo a scrivere il nome mi viene da addormentarmi. Il coro dell’antoniano e le cose su quella fascia lì – ci siamo capiti – risultano sempre efficaci. Si tratta di canzoncine in cui i messaggi – anche quelli più seri e da grandi – passano lisci che è un piacere al target di riferimento. L’effetto serra, il bullismo, i genitori separati, la guerra e la pace, persino chi non si lava e la lotta di classe. Poi ci sono quelli che insistono con il “Carnevale degli animali” e “Pierino e il lupo” che sono belli e tutto quanto ma alla lunga rompono i maroni.

Tra le varie cose che propongo – molto ritmo per insegnar loro ad andare a tempo, qualche canto e un mix tra il solfeggio e la body percussion – insisto molto sull’ascolto/visione dei video musicali. Cerco clip  con storie belle, di senso, magari animate, dei cortometraggi da seguire come se fossero film muti con una colonna sonora sotto. “Paradise” dei Coldplay, per esempio. “Coffee and TV” dei Blur. Trame in cui ci sia qualche aspetto da sottolineare insieme, particolari da notare, finali da commentare, effetti speciali, accompagnati da musica però di qualità. La musica è il fattore imprescindibile. Una collega – che segue anche lei questo modello – mi ha suggerito “Birds” degli Imagine Dragons. Ho assistito alla lezione che ha tenuto con i suoi e l’effetto è stato straordinario. Il video mostra tutti i temi più difficili da trattare con i bambini di quell’età – accettazione della diversità tra i pari, morte della madre della protagonista – ed è in grado di far esplodere le ghiandole lacrimali persino ai bimbi più cinici. Lei poi ha tenuto un vero e proprio dibattito magistrale – è proprio il caso di dirlo – al termine che ha letteralmente conquistato tutta la classe, ha aperto i cuori di tutti, ha portato l’attenzione e l’emozione a livelli top. Ho provato a fare la stessa cosa con i miei ma non è andata altrettanto bene. La mia classe è caduta in uno stadio di depressione perché una storia in cui muore una mamma proprio non si può vedere. Altro che Bambi. E io l’ho gestita di merda perché, fondamentalmente, mi sentivo più depresso di loro.

Ho capito così che per proporsi come guide di stati d’animo come la collega che ti tira fuori tutto quello che provi bisogna essere autorevoli, psicologi, carismatici, sicuri di sé. Io forse vado meglio come intrattenitore, un mattatore un po’ cialtrone che ti fa notare gli elefanti in monopattino che ritrovano la famiglia che poi è una band per suonare insieme, proprio come quella che avevo io. Un DJ per la scuola primaria dietro alla console che tira su i bassi delle casse perché in “Paradise” la linea che scende per lanciare il ritornello pompa di brutto. E pensare che poi i Coldplay nemmeno mi piacciono, tantomeno gli Imagine Dragons.

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