parka

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Al bar Magenta i cocktail per astemi si chiamano Dry Anal e Sweet Anal. Lo so perché dal primo dell’anno ad oggi, senza alcun motivo particolare, non ho più buttato giù nemmeno un goccio di alcol e penso che resisterò almeno fino a luglio. Quando mi invitano per un apericena sono costretto a ripiegare sui beveroni tutti frutta e blocchi di ghiaccio che assecondano la sete in estate ma non c’entrano niente con il buffet salato. Insomma, a parte il nome per certi versi invitante, non ve li consiglio. Al tavolo vicino il clan dei parka ha qualcosa di meglio da festeggiare. Lo capisco perché il leader indiscusso ha un boccale da litro di birra bianca e, per giustificare la scelta, assicura a chi sostiene che conviene prendere una media per volta perché poi la birra si scalda che lui non ha di questi problemi perché tanto la finisce prima. Si vede che è il capo perché possiede un parka grigioverde originale dell’esercito della DDR con il pelo marrone scuro dentro acquistato l’estate della maturità a Dresda, mentre il resto della banda indossa modelli meno originali e di qualità più economica, provenienti da catene di fast fashion. La pratica dell’happy hour non è più quella di una volta. Oggi è di dominio comune, giovani vecchi e persino famigliole che comprano ai bambini hamburger e patatine mentre i genitori si strafogano delle consumazioni all you can eat comprese nel costo del long drink. I figli sono tutti uguali perché sfoggiano quelle magliette che usano oggi, decorate con i disegni in materiale cangiante. Sul davanti hanno illustrazioni fatte con delle lamelle colorate diversamente a seconda della faccia esposta. Il gioco è quello di passare la mano per scoprire cosa compare dall’altro lato, anche se il motivo è uno stereotipo maschile o femminile a seconda di chi la ha addosso. I camerieri fanno i complimenti alle t-shirt più colorate. Sono giovanissimi, vengono da tutto il mondo e parlano inglese con i clienti stranieri. Anche poco dopo, sulla metro al ritorno, sale un gruppo di ragazzini di tutte le nazionalità. Ci sono nordafricani, adolescenti dell’est Europa e una solo ragazza, una albanese. Mescolano l’italiano alle loro lingue e per farsi notare, oltre a fare passaggi con un pacchetto di fazzoletti di carta. Si appendono ai sostegni in alto e si insultano a voce alta con un idioma inventato ma si vede che hanno solo voglia di divertirsi. La signora al mio fianco dice che è contenta che, lì in mezzo, non ci sia sua figlia al posto dell’unica femmina, e forse sono vecchio ma in effetti è una considerazione che mi fa riflettere.

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