ritornelli contagiosi – day #11

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Se dovessi fondare una band oggi proporrei come nome COVID-19, scritto così tutto maiuscolo e pronunciato all’inglese “covaidi naintiin”. Mi immagino un successo della madonna, per un gruppo di post-punk, e anche uno di quei micro-spot che le rockstar fanno alle emittenti televisive tipo “ciao, sono plusuan giemtii, tastierista dei covaidi naintiin, state guardando Deejay Television e questo è il nostro nuovo video”. Dopo, lo stacco/jingle della trasmissione che lancia il singolo, un ronzio che si leva sopra a immagini di pandemia e apocalisse. La band è inquadrata in brevi scariche di qualche secondo, come interferenze di onde elettromagnetiche, unico segnale di vita nel silenzio cosmico, tutti vestiti di nero con delle mascherine protettive bianche dietro a strumenti realizzati con evidenti materiali di scarto provenienti dalle numerose discariche in cui si sono trasformate le principali metropoli dell’occidente industrializzato alla deriva. Ritmi ossessivi, suoni alienanti, consueta voce eco di quella dimensione parallela che ha dato i natali a tutti i figli del disagio post-coronavirus. L’anti-natura che cerca la sua rivincita in un album di cattiveria sperimentale.

Potrebbe essere un nostro fan il bibliotecario che oggi mi ha consegnato i libri che ho ordinato per affrontare la clausura senza annoiarmi. È uscito il nuovo di Percival Everett, “Quanto blu”, poi ho preso “Uomini di poca fede” di Nickolas Butler e “The Free” di Willy Vlautin. Mentre sbrigava la pratica ha accennato qualcosa sui miei gusti smaccatamente americani, ma non ho capito nulla. Sono duro d’orecchi, mi trovo in difficoltà se non leggo il labiale, e quando c’è di mezzo una vistosa FFP3 assicurata con i lacci a doppio giro dietro le orecchie le possibilità scendono a valori irrisori. Mentre rientravo in bici pensavo ai titoli delle nostre canzoni, intendo alle hit dei COVID-19 e a quanto era bello quando a sedici anni passavo sabato e domenica pomeriggio chiuso in sala prove con il mio gruppo, che poi era anche la mia famiglia, che poi era anche il mio mondo. Un ambiente così poco salubre che, di questi tempi, sarebbe più che fuorilegge.

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