scala mobile – day #35

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Se provate a spostarvi all’interno dell’hinterland milanese, una delle zone a maggior densità abitativa europea (almeno credo), saprete che spesso è difficile capire in quale comune state transitando. Il fatto è che l’area metropolitana è un’immensa distesa di quartieri, uno appiccicato all’altro. Sei a Bresso, attraversi la strada e ti ritrovi a Cormano, fai centro metri e torni nei confini del territorio da cui sei partito.

Questo puzzle di municipalità, passatemi il termine, non costituisce certo lo scenario ideale per l’applicazione e l’osservanza di una delle disposizioni che regolano i movimenti consentiti ai tempi del lockdown. L’ordinanza ammette infatti gli spostamenti per l’approvvigionamento alimentare nel caso in cui il punto vendita più vicino e/o accessibile alla propria abitazione sia ubicato nel territorio di un altro comune. I grandi ipermercati, che poi sono quelli più comodi e convenienti per le spesone settimanali o in periodi di pandemia in cui meno si esce e meglio è, si trovano in vere e proprie terre di nessuno, a metà tra uno svincolo e una provinciale, e non è sempre facile associare la loro ubicazione al paesello di appartenenza.

Non tutti i comuni, però, possono contare sul proprio territorio di uno di questi megastore. Su questa tematica si trovano fior di leggende metropolitane che narrano di forze dell’ordine impegnate a rilevare le generalità delle persone in coda all’Esselunga del tal paese per verificarne l’effettiva residenza, sanzionando e allontanando i non coperti da tale diritto naturale. Nel dubbio – non sono certo uno che ama il rischio – mi servo di una piccola Coop a meno di un minuto di auto da casa mia in quanto, appunto, privo dello ius soli per avvalermi dell’Esselunga di Baranzate.

In realtà c’è un’Ipercoop sul territorio comunale, che però si trova all’interno di un grosso centro commerciale che, fino a stamattina, ho cercato di evitare. Nulla è infatti più deprimente di un centro commerciale gremito di consumatori che un centro commerciale con tutti i negozi chiusi, il nastro segnaletico intorno ai giochi per i bambini e una fila di persone in mascherina, ciascuna appoggiata al proprio carrello e a un metro di distanza l’una dall’altra.

Per limitare l’esposizione a questo scenario da film post-apocalittico americano mi sono presentato all’ingresso del supermercato alle 7:30 del mattino, riuscendo così a entrare all’apertura. Sono riuscito a fare lo spesone settimanale in tranquillità e come si deve, cioè riempiendo il carrello all’inverosimile e pagando uno sproposito in cassa. Quando sono uscito, un’ora dopo circa, la coda era consistente e ho capito di aver fatto la cosa giusta.

Ho inforcato così la scala mobile per salire al piano dei parcheggi ed ero completamente solo con i miei duecento euro di spesa. Si sentiva della musica, come sempre succede nei centri commerciali. La musica non riconosce l’umore delle persone perché, al contrario, è la canzone in sé a imporlo. Ci vorrebbe un sistema di domotica avanzata, applicato agli ambienti pubblici, in cui non è necessario dare le istruzioni vocali come “Alexa metti questo” o “Alexa fammi sentire quest’altro”. Una tecnologia raffinata che capisce che l’umanità si trova in un momento critico che riguarda tutti, ti legge nel pensiero, controlla la tua data di nascita, capisce con quali band e artisti sei cresciuto, e compone una playlist incrociando questi dati. Un impianto hi-fi universale in cui solo il programmatore di tutto questo, grazie al suo ruolo di super-amministratore, è in grado di spegnere l’impianto di diffusione, con uno di quei gesti da telefilm di streghe e fate, arricciando il naso o strizzando entrambi gli occhi.

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