poi vado su vado su vado su

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Quest’anno ho trascorso le vacanze in Italia. Uno smacco all’esterofilo che vive in me ma recarsi fuori dai confini sembrava molto complesso e, con il senno di poi, meno male che non l’ho fatto. In realtà ci siamo lasciati convincere – ed è stato bello farlo – dallo spirito di unità nazionale e dall’idea di aiutare l’economia del nostro paese, come ha imposto lo storytelling in voga. Un bel viaggio al sud da Roma (deserta) alla Puglia (un carnaio), passando da Ercolano e Pompei (visitate in solitudine) e da Matera (dove c’eravamo io e il cantante dei Baustelle).

Un bel modo di rivivere questo coast to coast è lo spottone all’italianità della TIM, chiamata a difendere la connettività nazionale in un momento in cui, grazie anche a Internet, non siamo mai stati così divisi.

L’efficacia della pubblicità è però penalizzata in parte dalla canzone scelta, quel superfluo esercizio di stile che è “Brava” di Mina, il noto divertissement in salsa jazz-lounge all’acqua di rose del maestro Bruno Canfora, direttamente dai fasti in bianco e nero di Studio Uno. Un pezzo in cui probabilmente Mina batte ogni record di tecnica vocale e di estensione e che sposta il focus del messaggio sull’aspetto meramente accademico e presuntuoso della musica.

Il fatto è che le immagini sotto sono invece un concentrato di sostanza e cultura, di passione e di storia, tutta roba che ha a che fare sicuramente con il cervello ma molto di più con il cuore e con la pancia. Il trillo, l’usignolo, la balena sott’acqua, le note basse e quelle alte, le cose che sa fare e quelle che non sa fare, a essere pignoli, e poi l’andare su e giù e il bum bum bum bum bum bum bum bum bum bum bum – tutti primati mai eguagliati – riducono di molto la portata emotiva. Ma magari mi sbaglio io e voi, a sentire “Brava”, vi sentite tutti bravi. Tutti bravi con gli acuti degli altri. Per me, di brave nella pubblicità, ce n’è solo una e si chiama Giovanna. Brava Giovanna, brava. Tutti aspettiamo il tuo ritorno.

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