i quattordici giorni che sconvolsero il mondo

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Non voglio riaccendere l’annosa discussione sui mesi di vacanza degli insegnanti, sulle ore che passano in classe e su quelle dedicate a programmazione, preparazione attività e back-office generale. Quest’anno, poi, meglio evitare. Come i nostri figli, non metto piede in una classe da venerdì 21 febbraio ma vi assicuro che, in vita mia, non credo di aver mai lavorato così tanto come la scorsa primavera, ovviamente considerando l’esperienza in relazione anche con le mansioni che ho ricoperto prima di dedicarmi alla scuola. Non entro poi nel merito delle condizioni in cui operiamo versus la situazione in cui si trovano gli altri settori produttivi e il fatto che – al netto del lockdown e del telelavoro a cui si sono convertiti in molti – a giugno, luglio e agosto siamo stati a casa come tutti gli anni, dopo esser rimasti a casa per tutto il secondo quadrimestre.

Io però giornate come quelle che si vivono nella scuola dal primo al quattordici settembre non le auguro a nessuno perché non credo che abbiano eguali. Farei volentieri cambio con uno dei mesi di vacanza di cui sopra. Sono quattordici giorni in cui si concentra il lavoro che un’organizzazione normale svolgerebbe in almeno un paio di mesi, con responsabili progetto, mansioni e tempistiche ben definite, e a maggior ragione in un momento di emergenza sanitaria come questo. Qui da noi, invece, vi si dedicano quattro gatti coordinati da una figura apicale che si occupa allo stesso tempo di milioni di cose. Mettete insieme il reclutamento del personale docente (nella mia scuola almeno un quarto degli insegnanti) e dei collaboratori e tutto ciò che comporta, più l’allestimento degli spazi con gli eventuali spostamenti (un’esigenza quest’anno cresciuta in modo esponenziale), la formazione delle classi prime di ogni ordine (infanzia, primaria e secondaria), la composizione degli orari e la distribuzione delle risorse comuni, lo start-up delle attività con le riunioni in tutte le combinazioni possibili (istituto, ordine, interclasse, classe, materia), l’istituzione delle commissioni, il passaggio di consegne con i colleghi che se ne vanno e quelli che arrivano, qualche inevitabile corso di aggiornamento, i primi contatti con le famiglie.

Senza contare la reportistica e la documentazione da produrre, informazioni da inserire o modificare nelle piattaforme gestionali e didattiche, le password dimenticate, il check degli equipaggiamenti e del materiale nei laboratori, nelle classi e negli uffici. Una mole di impegni che inevitabilmente si protrarrà lungo i mesi successivi, sovrapponendosi all’attività didattica che è poi il fulcro del nostro lavoro. Il tutto con una spruzzata di una cosuccia come una pandemia globale e milioni di regole di convivenza sociale da far rispettare. Ora, non dico iniziare il 22 febbraio, sarebbe stato troppo. Ma almeno il 1 giugno, al netto dell’imprevedibile causato da un contesto altrettanto in evoluzione, non si poteva cominciare a fare qualcosa?

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