diagnosi

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Se un giorno prevalesse sul serio il primato green sulla politica imposto dall’emergenza sanitaria – un po’ a breve termine come per il Covid-19, cioè inteso come se non vi date una mossa siete spacciati – e si stabilisse che le automobili sono abolite dalla faccia della terra perché inquinano troppo e la temperatura si alza e i ghiacci si sciolgono e il clima diventa ingestibile e moriremo tutti, vi dico la verità che sarei contento. Io odio le macchine come odio tutte le cose in cui – aprendole – non ci capisco un cazzo. Ieri mattina la mia alunna Sofia ha avuto una specie di crisi isterica da pianto perché, cancellando troppo vigorosamente una cornicetta che aveva sbagliato a copiare dal libro, ha bucato irrimediabilmente il foglio. Che poi, voglio dire, irrimediabilmente per modo di dire. La cornicetta si può rifare o si può tagliare un pezzo di foglio a quadretti e incollarlo sopra il punto consumato, tanto per iniziare. Piangeva così forte e inconsolabilmente da non riuscire più a parlare e respirare. Ho persino temuto che soffocasse o che non riuscisse più a spegnersi. Quando mi si rompe la macchina mi piacerebbe potermi mettere a piangere disperatamente così. Mi piacerebbe tornare a casa e invece di trattare tutti male perché mi girano i coglioni perché l’auto ha un problema e devo portarla in officina vorrei sedermi al tavolo, appoggiare la testa sulle braccia proprio come fa Sofia e mettermi a piangere come se non ci fosse un domani. Non ho mai capito perché le reazioni che hanno i bambini poi, a un certo punto della vita, le dismettiamo. Non ci comportiamo più così perché socialmente non ci è consentito e gli altri adulti ci prenderebbero in giro oppure perché, da un punto di vista fisico, a una certa età il pianto di quel tipo nel nostro organismo non si manifesta più, come le mestruazioni che da vecchi si interrompono o i denti da latte che lasciano il posto a quelli definitivi. Io sono convinto che ci sia una sorta di convenzione consolidata per la quale, come si dice davvero, un adulto non deve fare il bambino. Di base c’è il fatto che portare l’auto dal meccanico di fiducia mi costa una fatica emotiva che non vi so descrivere. Intanto perché è un meccanico che considero di fiducia perché mi rivolgo sempre a lui, e potrebbe benissimo essere che sin dal primo intervento che gli ho richiesto mi abbia rifilato prestazioni non richieste facendomele pagare profumatamente, ma non ho strumenti per giudicare. L’officina – tutte eh, non solo quella di cui mi avvalgo – poi mi sembra un ambiente truce abitato da operatori consapevoli di fornire servizi essenziali e del potere che ciò permette di esercitare. Ho portato la mia automobile perché ha avuto un problema – stavo guidando, ho sentito uno scossone, si è accesa la spia del motore e l’auto ha iniziato a tremare – e ancora una volta sono caduto nel baratro. «Parcheggiala meglio e lascia le chiavi nel quadro», mi ha detto. «Entro sera ti chiamo per una diagnosi». Ho temuto che fosse una battuta di cattivo gusto e che aggiungesse che si augurava di non doverla spostare in terapia intensiva. Poi ha risposto a una telefonata e, visto che la cosa andava per le lunghe, mi sono congedato e sono tornato a casa a piedi. Ecco, se fossi un meccanico mi comporterei proprio come io ho fatto con Sofia, che non ho potuto prendere in braccio perché a scuola ci è vietato ogni contatto con i bambini. L’ho convinta che fare un buco nel foglio a furia di cancellare non è certo la fine del mondo, che tutto ha un rimedio, che si può perdonare tutto a tutti, che non sempre si deve pagare per gli errori o perché c’è qualcosa che non va, che la vita è piena di cose meravigliose e che non c’è nessuna difficoltà in grado di convincerci del contrario.

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