equilibrista

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Stare in classe di questi tempi è un po’ come quando Giulio impila sul banco l’astuccio con sopra il righello con sopra la gomma con sopra la palette di acquerelli con sopra l’altro righello con sopra la bic multicolore e poi chiama Nicolò per mostrargli il prodigio tenendo le due mani ai lati come se i palmi emanassero una sorta di onda magnetica che impedisce alla torre di materiale scolastico di crollare, prima sul banco e poi a terra e poi sulla mia pazienza.

Ieri mi sono avvicinato alla sua postazione che dista un metro e venti precisi da quelle dei compagni – le aule ai tempi del covid sembrano una rappresentazione vivente di campo minato.exe, poi diventato per fin troppo ovvi motivi politically correct prato fiorito.exe – e con una delle mie Camper numero 47 ho fatto finta di inciampare nel banco, mettendo fine alle sue velleità ingegneristiche.

Una scena che rende perfettamente il clima durante le lezioni: io confinato dietro il rettangolo marcato dal nastro adesivo giallonero che tento, con un illusorio superpotere che si propaga dalle mie mani posizionate secondo la gestualità di un rito propiziatorio – di mantenere diciotto bambini perfettamente posizionati a distanza di sicurezza con la mascherina tenuta fin sopra al naso, senza soluzione di continuità. Ci vorrebbero le bacchette del calcio balilla a cui assicurare – metaforicamente, s’intende – gli alunni ordinati in file, in modo che quando qualcuno dondola sulla sedia e mette a rischio il metro e venti automaticamente anche gli altri fanno lo stesso, così da far portare agli insegnanti a casa la giornata.

Se si rispettano le regole, dice la normativa, non abbiamo nulla da temere. Ma si tratta di un equilibrio complicatissimo, come potete immaginare, e non voglio esagerare tirando in ballo il filo del rasoio.

Sono così ossessionato da gente che si avvicina ad altra gente senza niente sulla faccia che quando guardo un film pre-lockdown alla tv mi chiedo come sia possibile che uomini e donne si diano un bacio, oppure nei pub seduti al bancone gli amici si parlino nelle orecchie per la musica alta, o anche che qualche attore di buon cuore stringa uno sconosciuto in un abbraccio. Film e serie in cui non si vede una mascherina chirurgica se non in sala operatoria o serrati nel cassone di un’ambulanza, con il medico in prima linea che rianima bocca a bocca l’incidentato di turno.

Così cambio canale e cerco un tg, un talk o uno dei millemila programmi giornalistici in cui uomini politici ed esperti di sanità pubblica – rintanati nelle rispettive abitazioni – si rimbalzano onori e responsabilità fino a quando l’anchor man/woman lancia il servizio o l’approfondimento e, finalmente, tutto torna alla normalità con le immagini di repertorio di gente che fa le cose che facciamo tutti – cammina, corre, va a scuola, sta in ufficio, va al supermercato – con la mascherina a ridurre tutte le espressioni del viso a una sola, sempre la stessa.

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