brucia ancora

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Se c’è una prima volta per ogni cosa, mi chiedo chissà che effetto faccia ascoltare per la prima volta “Shine On You Crazy Diamond”. Interpretate questa domanda come preferite: chissà come un orecchio umano ancora vergine ai Pink Floyd possa reagire alla prima traccia del lato A di “Wish You Were Here”, sempre che ci siano persone al mondo che non conoscano ancora i successi della band di Gilmour e soci. Oppure chissà come il pubblico di oggi, con l’estetica musicale a forma di trap e di pop, può reagire al blues psichedelico. O anche chissà se gli ascoltatori educati alla dinamica delle composizioni in auge, tutte intrise di stop and go mozzafiato, bassi da infarto ed emozioni forti connesse, sono in grado di apprezzare un espediente come il fill in crescendo con cui esordisce la batteria nella canzone in questione. O, infine, se gente irreggimentata dalla fretta della comunicazione in tempo reale e dai ritmi imposti dai radio e video edit ha la pazienza di seguire il compimento di una suite musicale sino alla fine, lungo tutti i 13 minuti e 31 secondi solo della prima parte. Mi piacciono tutte, queste domande, e le trovo plausibili. Io però intendevo un’altra cosa, e cioè che è un peccato avere già ascoltato “Shine On You Crazy Diamond” migliaia di volte dal 75 ad oggi, perché sarebbe bello invece non averla mai ascoltata per ascoltarla sempre la prima volta e provarne la bellezza per la prima volta. Tornerei indietro nel tempo solo per ascoltare “Shine On You Crazy Diamond” per la prima volta, appena uscita, in un tempo in cui non l’ho mai ascoltata, magari in quell’anno lì in cui è stato pubblicata, per scoprire davvero che effetto fa, la prima volta.

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