case turche

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Bir Başkadır, o Ethos, come lo conosciamo noi, è una delle cose più belle che si possono vedere su Netflix ultimamente. Se non volete saperne nulla prima e vi fidate ciecamente del mio consiglio non perdete tempo, chiudete questo articolo e correte subito qui.

Se vi va, invece, mettiamoci comodi e parliamone.

La Turchia è un paese immenso e pieno di contraddizioni, proprio come il nostro. Ci sono i bigotti del sottoproletariato di periferia appiattiti dalla superstizione e ci sono i ricchi istruiti e laici del centro, una dinamica che in voti, in Italia, si traduce con la provincia che vota Lega e quelli della zona 1 che sono di sinistra. In questa geografia umana e discriminatoria si consuma una storia corale di donne che si sfiorano a un solo grado di separazione l’una dall’altra, ciascuna con il proprio fardello esistenziale represso, e una spruzzata di uomini di contorno che, nell’insieme, non ci fanno proprio una bella figura, malgrado da quelle parti (ma anche da noi) si arroghino i cardini del potere. Il buttafuori che non è in grado di gestire il complesso stato d’animo della moglie, il playboy smascherato in tutte le sue debolezze dalla madre e dalle amanti, la guida spirituale che fornisce supporto religioso prefabbricato e secondo modalità standard uguali per tutti, indipendentemente dal tipo di turbamento. Tutti comportamenti che aumentano il divario di spessore con la testardaggine di Meryem, l’algida professionalità di Peri, la follia emotiva di Yasin, la portata rivoluzionaria di Hayrünnisa, solo per fermarci alle protagoniste della nuova generazione e senza citare quella delle madri sottomesse dalla società e dai suoi veli. Un rigore nella rappresentazione dei principi che regge fino all’ultimo episodio, quando uno dopo l’altro i protagonisti sciolgono i loro stati d’animo abbandonandosi alla semplicità emotiva – il pentimento, il pianto, il perdono, l’amore – e tutto finisce apparentemente bene.

Ma, spoiler a parte, le storie che si dipanano lungo gli otto episodi sono stemperate in lunghi silenzi in cui sono gli ambienti a parlare. La città, la periferia urbana e la campagna corrispondono rispettivamente all’emancipazione (relativa) dalla tradizione, a un primo livello di salita sociale e alla semplicità rurale, offrendo spaccati di vita e interni di ambienti perfettamente esemplificativi. Il design ricercato e l’hi-tech dell’agiatezza contrasta con l’approssimazione dell’arredamento da edilizia popolare, per non parlare del rustico genuino della povertà immerso tra stalle, ovili e orti. Le stanze e i mobili sono parte integrante di ciò che accade, per cui non fatevi prendere troppo dai dialoghi e dalle interpretazioni degli attori. Ethos è una serie da seguire con attenzione dal primo istante sino all’ultimo titolo di coda, complice una regia e una fotografia superlative. Se decidete di arrivare in fondo, non perdetevi il minimo dettaglio.

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