lapidario

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Le cose funzionano così. Fai lo sceneggiatore per un importante regista, qualcuno ti consiglia un bel romanzo con una storia in grado di reggere perfettamente la trasposizione per il grande schermo, leggi il libro e confermi l’impressione, sottoponi l’idea al regista con cui collabori, il regista realizza il film e vi ritrovate entrambi in lizza per uno dei principali premi del settore. L’estate però ispira solo storie che trasmettono malinconia e a cui nessuno è interessato. Vicende che abbiano sullo sfondo quartieri residenziali assolati e deserti, luoghi generalmente vitali chiusi per ferie, persone sole che non sanno che farsene delle vacanze, edifici scolastici oggetto di ristrutturazioni interrotte a metà per la pausa estiva e difficilmente terminabili prima della ripresa delle lezioni, amici che partono con altri amici lasciando a casa gli amici di prima, coppie che si sfaldano come nelle isole televisive della tentazione. In generale si fa fatica ad accettare le cose che sembrano sul punto di evaporare e le persone che non sono al loro posto e tutto ci sembra vuoto, un’area archeologica abbandonata a se stessa e alla mercé di tombaroli, turisti poco rispettosi, gite di classe che lasciano il segno con tratto pen e strumenti appuntiti su affreschi e colonne, nell’attesa di rientrare in hotel e tentare la fuga per raggiungere la discoteca più vicina. La scorsa estate ho visitato nell’ordine Ostia antica, Pompei ed Ercolano in un’atmosfera irripetibile a causa delle restrizioni da Covid-19. Anzi, a pensarci bene, se continuate a non vaccinarvi, anche quest’anno ci sono alte possibilità che tutto si ripresenterà tale e quale. Comunque ho camminato sui ruderi di città di duemila anni fa con un caldo torrido e a Ostia, per dire, c’eravamo solo noi, i quaranta gradi all’ombra e gli addetti al sito, donne e uomini in pensione con le divise e i berrettini con la visiera dei Carabinieri che ci hanno rimproverato perché non avevamo una adeguata protezione per il capo. Ho avuto la conferma che ci sarebbero tantissime storie da inventarsi in quei luoghi con i protagonisti dell’epoca, se solo ne sapessimo di più, se solo conoscessimo i dettagli della loro vita quotidiana. Sull’onda dell’entusiasmo per la storia antica quest’inverno ho così seguito, al colmo delle aspettative, la serie tv dedicata alle origini di Roma, cercando di cogliere al netto della vicenda principale che cosa facevano le comparse sullo sfondo. Non solo, quindi, i guerrieri secondari alle prese con l’ordinaria violenza in battaglia, ma donne, uomini, anziani, bambini, persone normali che sullo sfondo di eroi e re forgiavano metalli, portavano l’acqua, chiacchierano sulla soglia delle loro capanne. Mi sono chiesto quanta cura dedichino registi e sceneggiatori a dettagli di questo tipo. Quest’anno abbiamo organizzato un viaggio analogo ma ancora più indietro, nella storia degli Etruschi. La sfida è ancora più difficile perché l’arte è al riparo nei musei e il resto sono tombe e poco più e mi chiedo che cosa si potrebbe inventare, per un film, considerando una base di partenza così vaga. Necropoli e urne vuote. Molto più semplice lavorare a una versione tv della Divina Commedia, magari con le atmosfere dark che solo certe serie americane o nord-europee di successo riescono a rendere. Tre stagioni da undici episodi ciascuna più un prologo, ogni puntata divisa in tre parti, personaggi e storie attualizzate, colonna sonora che attinge a piene mani dalla produzione contemporanea. E poi c’è un copione già fatto e finito e che pare aver avuto un discreto successo, nel tempo. Ci vorrebbe anche una sigla ad hoc, una di quelle che, malgrado il binge watching, non skippiamo per passare subito alla visione dell’episodio ma su cui ci soffermiamo, ogni volta, per calarci nel mood e prepararci meglio a quello che sta per accadere.

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