Augias che dice robe

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Premesso che Corrado Augias, per me, dovrebbe essere il prossimo Presidente della Repubblica, il direttore ad libitum della RAI, il motore immobile, l’ospite fisso al pranzo della domenica a casa mia, lo spirito guida di tutti noi, mio padre e forse anche qualcosa in più, mi capita di rimanere parzialmente insoddisfatto al cospetto della sua visione di città segrete e, di conseguenza, della mia visione dell’omonimo programma in tv, su RaiTre. Mi era già successo seguendo l’episodio dedicato a Roma, capitale che conosco solo da turista ossessivo compulsivo, ma per il quale – non essendo iscritto all’anagrafe e non essendo nemmeno cittadino onorario – avevo esitato sulla soglia di un giudizio meramente tecnico da addetto ai lavori, focalizzandomi sull’accostamento, a dir poco inappropriato, di musiche a riprese.

Nutrivo aspettative elevatissime sull’episodio di Genova, alimentate peraltro da un trailer montato da manuale con riprese pazzesche realizzate con il drone che è passato centinaia di volte nel corso delle serate, trascorse sul divano, di queste vacanze di Natale all’insegna dell’isolamento fiduciario. Genova è, di per sé, una città segretissima, tutta da scoprire, la cui bellezza e le cui attrattive turistiche sono meta di coraggiosi e anomali viaggiatori da appena un paio di decenni. Per questo sono convinto che di Genova, a differenza di Roma o Firenze o Venezia che sono su tutti i libri di storia, di arte, di letteratura e di musica, non si sia ancora nemmeno iniziato a parlare ancora prima di dire che c’è ancora molto da dire, non so se con tutte queste ripetizioni mi sono spiegato.

Mentre seguivo l’episodio sulla mia prima città adottiva, nella speranza che ciò che seguisse a quello che stava passando in tv riscattasse la mia perplessità sulle immagini di cui ero spettatore, mi sono segnato un po’ di cose che, in un programma pensato per fornire un identikit di Genova fuori dal mainstream, avrei omesso, e che ora mi permetto di riportare qui di seguito in ordine più o meno di apparizione:

De André. Tutto si può dire tranne che l’argomento De André sia un segreto. Faber è stato il più importante cantautore italiano e uno dei genovesi più illustri di tutti i tempi e probabilmente lo sarà per tutti i secoli dei secoli, ma, dalla sua scomparsa, è stato ampiamente trattato in diverse occasioni molto più appropriate, per non parlare del racconto della sua vita addirittura in una fiction in romanesco. Si tratta di un fondamentale se si vuole parlare di Genova, d’accordo, ma proviamo a dare per scontato la sua popolarità. Se poi vogliamo raccontare Genova attraverso i suoi musicisti, non avete che da chiedere.

Il naufragio della Costa Concordia. Ok, i Costa sono armatori genovesi e la nave è stata poi smantellata a Prà, ma tutto il resto che c’entra con la città? Il pippotto su Schellino si è mangiato una bella fetta di programma. Genova è una città di navigatori e non vedo nulla di più distante dalla Liguria di una goffa e sciagurata manovra nautica.

Mary Shelley e George Byron. OK, ci può stare, anche se boh, alla fine Genova è meno che un di cui. Molto apprezzato, però, lo spottone su Albaro, che malgrado la sua esclusività risulta sempre ai margini degli interessi dei visitatori della città.

Villa Durazzo Pallavicini con il sottofondo musicale di “Hey Bulldog” dei Beatles. Scelta piuttosto azzardata ma sono ignorante e non ne ho colto il nesso. Qualcuno riesce a spiegarmelo? Grazie in anticipo.

Moana Pozzi. La genovesità della pornostar più amata dagli italiani nell’economia della sua vita è, a dir poco, marginale. Ho apprezzato comunque il taglio privo di luoghi comuni che è stato dato nel montaggio degli stralci di interviste, in cui per ben due volte si è sentito proferire, dalla voce stessa dell’attrice, il fattore della follia – e la conseguente consapevolezza – che contraddistingue un mestiere come il suo. Genova è intrisa di sesso, ma è sufficiente addentrarsi in certi vicoli nemmeno troppo segreti a qualsiasi ora del giorno e della notte.

Paolo Villaggio. Come ho scritto sopra per De André, si tratta di un tema sviscerato in ogni sua componente da quando il ragioniere ci ha lasciato. A Genova c’è molta comicità contemporanea il che risulta sorprendente per una città di musoni che ha un dialetto che sembra “pensato apposta per dare cattive notizie” (cit.) ed è curioso, aggiungo io, che, a differenza di altri ambiti, non si parli di una scuola genovese. Agli autori del programma chiedo invece che cosa ci azzecca “Che cos’è l’amor” di Capossela sulle immagini di repertorio di Fantozzi.

La liberazione e i partigiani, Guido Rossa, Mameli e Mazzini, il G8, le manifestazioni ai tempi di Tambroni. Verso la fine, prima di Paganini, la trasmissione prende una svolta decisamente più interessante e mette in luce l’anima politica di una città che ha saputo combattere, ribellarsi e manifestare dissenso. Nulla da dire, assolutamente. Anzi, mettere insieme temi scottanti ad altri più da entertainment è sicuramente una tecnica efficace, ma abbinare le immagini del G8 ad “Azzurro” di Celentano mi ha lasciato a bocca aperta.

Tante cose, qualcosa di appropriato, qualcosa di superfluo, e qualcosa che è mancato. Tutto sommato una trasmissione piacevole ma, ripeto, avrei scelto temi differenti. Come ha detto mia figlia, dall’alto della sua capacità di sintesi adolescenziale, il programma si sarebbe dovuto intitolare “Augias che dice robe”.

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